Villacidro è un piccolo paese della Sardegna del sud distante circa 50 chilometri da Cagliari, là dove la piana del Campidano cede il passo al sistema montuoso del Linas. Vocata da sempre all’agricoltura e alla pastorizia, Villacidro rappresenta quell’immagine di Sardegna che non siamo abituati ad avere: paesaggi dolomitici, sorgenti d’acqua dolce e vaste distese di foresta. E’ qui che nascono negli anni trenta del Novecento Giovanni, Salvatore, Francesco e Lucia Vinci.
Villacidro è un piccolo paese della Sardegna del sud distante circa 50 chilometri da Cagliari, là dove la piana del Campidano cede il passo al sistema montuoso del Linas.
Vocata da sempre all’agricoltura e alla pastorizia, Villacidro rappresenta quell’immagine di Sardegna che non siamo abituati ad avere: paesaggi dolomitici, sorgenti d’acqua dolce e vaste distese di foresta.
E’ qui che nascono negli anni trenta del Novecento Giovanni, Salvatore, Francesco e Lucia Vinci.
Giovanni, fratello maggiore, vivrà a Villacidro fino al 1952, anno in cui, per primo, si trasferirà a Lastra a Signa dopo una brutta vicenda di violenza familiare che lo avrebbe visto accusato di incesto. In Toscana Giovanni conosce Barbara Locci, sposata con Stefano Mele, di cui diventerà amante e la sua vita sarà costellata di procedimenti penali per furto, atti osceni e violenza privata.
Si sposerà invece a Villacidro Salvatore Vinci, il secondo fratello. Nel 1958 infatti conoscerà la diciassettenne Barbarina Steri, una giovane ragazza, non del tutto convinta al matrimonio se non per “le insistenze” del padre e del fratello che avevano considerato opportuno un collegamento con la famiglia Vinci.
Dopo un anno nascerà il piccolo Antonio sebbene Barbarina, ancora innamorata del primo fidanzato Antonio Pili vi avesse ripreso una relazione clandestina. I primi giorni di dicembre del 1959, Salvatore viene a conoscenza dei tradimenti della moglie e per mettervi definitivamente fine organizza un piano chiedendo l’aiuto di due complici: una volta che Barbarina si fosse appartata con Antonio, i due avrebbero scattato delle foto e poi l’avrebbero minacciata di divulgare il materiale a meno che lei non si fosse concessa loro sessualmente. Il piano funzionò alla perfezione tanto che Barbarina scappò impaurita dal marito raccontandogli di essere stata aggredita da tre malintenzionati. Salvatore fece finta di credere alla storia della moglie e la indusse a sporgere denuncia presso i carabinieri. Sentito anche il marito, le forze dell’ordine non ci misero molto a comprendere che la storia della violenza non era credibile e così fecero confessare la verità a Barbarina. La donna fu segregata in casa dal marito e l’amante non poté più continuare una relazione che lo vedeva coinvolto in un adulterio. Barbarina continuava a subire le violenze, non solo del marito, ma di tutta Villacidro che la guardava come la vergogna del paese. Decise quindi di trasferirsi, insieme al piccolo Antonio, a Cagliari dove aveva trovato lavoro presso un orfanotrofio. La partenza da Villacidro era fissata per il 21 gennaio 1960, ma Barbarina non arriverà mai a prendere quell’autobus: fu trovata morta, la notte tra il 14 e 15 gennaio, da suo marito Salvatore che dichiarerà di averla rinvenuta sul letto della camera con la porta chiusa ed un tubo collegato ad una bombola del gas aperto. Barbarina aveva graffi sul volto ed ematomi sul collo, ma il caso fu archiviato come suicidio. Nella stanza accanto, tranquillo, dormiva nella sua culla il piccolo Antonio. Salvatore Vinci molti anni dopo dichiarerà: “Dopo la morte di Barbarina mi sono trasferito in Toscana perché mi sono accorto che in paese era difficile camminare tra la gente dopo il tradimento di mia moglie.” Ed infatti nel 1960 raggiunge il fratello Giovanni in Toscana, a Casellina, una frazione alle porte di Firenze. Dopo qualche mese conosce Stefano Mele e Barbara Locci.
Di Barbara diventerà amante e in un’intervista realizzata negli anni ottanta dichiarerà: “”Lei la conobbi alla fiera di Lastra a Signa, me la presentò, insieme al marito, mio fratello Giovanni. Erano sardi come noi. Io e mio fratello eravamo scapoli. Io avevo bisogno di qualcuno che mi lavasse le camicie, di una casa. Così andai a vivere con loro. Fu il marito, dopo un pò che li frequentavo, a propormelo. «Vieni qui, abbiamo una camera libera». «E i soldi?», «dai pure quanto credi». In casa Mele entrai così. E stando a casa me la portai a letto. (…) Stefano non era geloso. Andavo al cinema e Barbara chiedeva al marito se poteva venire con me. Lui diceva di si, che non gli importava. E poi, magari, tornando a casa, passavamo dal circolo, dove c’era Stefano Mele.
«Noi andiamo a casa, vieni anche tu?», gli chiedevamo. «Andate, andate, io resto ancora un po’ a giocare a carte». Così noi sapevamo che avevamo il tempo per fare all’amore”. Disse di Barbara Locci: “Non era una statua. Quando faceva l’amore lo sapeva fare, partecipava. Era questo che conquistava. “La relazione tra i due amanti subisce una battuta di arresto al momento in cui la Locci rimane incinta. Nascerà Natalino Mele e Salvatore, a proposito dell’arrivo del bambino dichiarerà: “Facevo l’amore con lei, prendevo delle precauzioni, ma la certezza che non sia mio figlio non ce l’ho”.
Pur nutrendo dubbi sulla paternità del bambino, Salvatore sposerà Rosina Massa e nel 1962 si trasferisce prima a Calenzano e poi a Vaiano; dalla Sardegna nel frattempo lo ha raggiunto anche il suo primo figlio, Antonio. Dalla relazione con la Massa nasceranno altri tre figli, ma la frequentazione con Barbara Locci continuerà fino al 21 agosto 1968, quando l’amante insieme ad Antonio Lo Bianco verranno trovati morti, uccisi da otto colpi esplosi da una pistola Beretta Calibro 22, all’interno di una Giulietta bianca in località Castelletti di Signa (potete rileggere la cronaca dell’omicidio qui).
Salvatore, uomo descritto dalla moglie come violento e ossessionato dal sesso, in questi anni costringerà moglie, amici, dipendenti e colleghi di lavoro alle più sfrenate perversioni sessuali tanto che Rosina Massa nel 1980 deciderà di lasciarlo e trasferirsi altrove. Continua nel frattempo la convivenza anche con il figlio Antonio a Firenze, dove Salvatore si trasferirà nei primi anni settanta. Nel 1973 il figlio tornerà però per un breve periodo in Sardegna a causa di un grave episodio che lo aveva visto denunciato dal padre per violazione di domicilio e per i continui e violenti litigi che metteranno fine a qualsiasi rapporto tra i due. Finita la storia con Rosina, Vinci incontra la nuova compagna Ada Pierini. Anche lei non mancherà di lamentare il carattere insano del compagno che lascerà nel 1983. In questo contesto non tratteremo i singoli episodi che lo porteranno più volte ad avere a che fare con le forze dell’ordine, ma in attesa di leggere ancora sulle vicende legate al Mostro di Firenze, sarà sufficiente, in questa sede, raccontare come la presenza di Salvatore Vinci in Toscana, si esaurisca con un avviso di garanzia per tutti gli omicidi compiuti dal “mostro di firenze” inviatogli alla fine del 1985 (pochi mesi dopo il delitto degli Scopeti, ultimo duplice omicidio attribuito al mostro). Nel giugno del 1986 invece verrà arrestato, con un ordine di custodia emesso dai magistrati di Cagliari.
L’accusa è di omicidio volontario premeditato, della prima moglie, Barbarina Steri. Accusa giunta dopo ben 26 anni dall’archiviazione del caso. Verrà processato e verrà dichiarato innocente. In quell’occasione l’avvocato Marongiu dichiarò ai cronisti : “Se vogliono processare Vinci per i delitti del Mostro lo devono fare direttamente, non prendendo questo episodio come scusa.” All’uscita dal carcere invece Salvatore Vinci dirà: “E’ stata una soddisfazione molto bella. Ringrazio i miei avvocati, che hanno sempre creduto alla mia innocenza e mi hanno difeso gratuitamente per riparare al torto subito con il mio arresto e l’incriminazione. Ringrazio anche la Corte che mi ha giudicato con serenità. Appena uscirò dal carcere andrò a Villacidro da mia sorella Gina. Vi prego: non cercatemi, non disturbate i miei familiari, non chiedetemi interviste. La prima cosa che desidero fare è prendere un caffè ristretto. Stasera, poi, andrò a dormire più sereno e più tranquillo”. Dopo di che più niente: Salvatore Vinci scomparirà da Firenze, da Villacidro, qualcuno lo avrebbe avvistato in Venezuela, qualcun altro in Andalusia; fatto sta che del secondo fratello Vinci se ne perdono completamente le tracce.
Torniamo a questo punto ancora agli anni Cinquanta quando anche il terzo fratello Vinci lascia Villacidro alla volta della campagna fiorentina.
Francesco parte dalla Sardegna con sua moglie, Vitalia Melis e trova residenza a Montelupo. Dal matrimonio nasceranno tre figli. Nel 1966 conosce Barbara Locci e anche lui ne diviene amante. Il rapporto con Barbara sarà morboso e passionale tanto che abbandonerà il tetto familiare per trasferirsi a casa di Stefano Mele. Dopo il duplice delitto di Castelletti di Signa, Francesco Vinci verrà accusato da Stefano Mele di concorso in omicidio con l’appoggio indiretto del fratello Salvatore che dichiarerà di essere a conoscenza della proprietà da parte del fratello di una pistola non legalmente denunciata. Dal processo a Stefano Mele per l’omicidio di Locci e Lo Bianco, Francesco Vinci uscirà come persona lesa in quanto calunniata, ma il carcere sarà comunque una costante della sua vita: furti, detenzione illegale di armi, custodie cautelari per omicidi. Si trova in carcere quando nel 1982 gli verrà notificata una comunicazione giudiziaria per gli otto duplici omicidi imputati al “mostro di Firenze”. Il motivo per cui gli inquirenti fossero arrivati a lui non lo spieghiamo adesso, ma di volta in volta analizzando i singoli duplici omicidi. Sta di fatto che durante la detenzione il mostro tornerà a colpire scagionandolo dalle accuse. Nel mese di agosto del 1993, Francesco Vinci verrà trovato carbonizzato nel porta bagagli della sua auto, insieme all’amico Angelo Vargiu, nei pressi di Pontedera. Il Vinci era stato torturato e mutilato prima di essere ucciso per incaprettamento.
Tornando agli anni cinquanta del Novecento, contemporaneamente alla partenza dall’isola della famiglia Vinci, un’altra famiglia sarda originaria di Fondorgianus decide di andare a vivere in Toscana. Nel 1952 Giovanni Mele sarà il primo figlio ad emigrare in continente; lo seguiranno il padre, la madre, la sorella Maria ed il fratello Stefano solamente nel 1958. Nel 1959 Stefano conosce a Casilina Barbara Locci, anche lei originaria della Sardegna. I due si sposano e l’anno successivo nasce Natalino Mele. La vita libera di Stefano Mele si concluderà il 21 agosto del 1968 quando sua moglie verrà uccisa a Signa e lui finirà in carcere perché ritenuto unico e materiale esecutore del duplice omicidio. Fedele a Salvatore Vinci, ostico nei confronti di Francesco, finirà per far arrestare negli anni ottanta anche suo cognato e suo fratello con l’accusa di essere gli esecutori dei duplici omicidi delle coppiette attribuiti al mostro di Firenze a partire dal delitto di Borgo San Lorenzo, escludendo Castelletti di Signa, per il quale c’era già un colpevole(?). La detenzione presso Porto Azzurro terminò nel 1981 e si trasferì a Ronco dell’Adige, una casa di riposo per ex detenuti dove, dopo essere tornato a collaborare più volte con gli inquirenti a Firenze ed aver cambiato almeno cinque versioni dei fatti accaduti quella sera del 21 agosto 1968, morirà per una crisi respiratoria nel 1995. Suo figlio Natalino è ancora in vita ed abita a Firenze. Si impegna con un gruppo di senza fissa dimora affinché la casa diventi un bene comune. La vita di Natalino, condizionata dall’età di sei anni, è stata un continuo dover ricordare qualcosa che, se forse all’epoca dei fatti poteva essere ancora vivo, adesso è completamente offuscato da tutto ciò che avrebbe o non avrebbe dovuto dire. Lo zio di Natalino, Giovanni Mele come si è detto fu il primo della famiglia a raggiungere Firenze. Una vita tra Firenze e Mantova, dove lavorò fino all’età della pensione quando si trasferì a casa della sorella Maria a Scandicci. L’accusa di Stefano Mele a seguito del ritrovamento del famoso biglietto conservato nel portafogli del fratello (di cui abbiamo parlato nel precedente articolo) e perquisizioni che portarono al sequestro di un pelo pubico infilato dentro ad un’agenda, una lama bisturi ed una piantina delle colline fiorentine con zone evidenziate, portarono il 26 gennaio del 1984 Giovanni Mele, insieme a Piero Mucciarini, in carcere con l’accusa di essere in concorso il Mostro di Firenze.
Il mostro colpirà dopo pochi mesi a Vicchio smontando tutte le accuse. Piero Mucciarini, unico toscano del gruppo (nato a Siena e residente a Firenze), aveva sposato la sorella di Stefano Mele, Antonietta. Anche per lui valsero le stesse condizioni di Giovanni per finire su tutte le prime pagine dei giornali come possibile Mostro di Firenze.
Abbiamo voluto fare questa carrellata affinché fosse chiaro il motivo che portò gli inquirenti negli anni ottanta in Sardegna. L’occasione fu buona per studiare più a fondo il caso di suicidio di Barbarina Steri, un’altra Barbara, della sua storia d’amore clandestina con Antonio Pili, un altro Antonio, di quel bambino lasciato a dormire in una culla mentre la madre moriva in camera da letto, un altro bambino che dorme. E poi scoprire che le Calibro 22 a Villacidro erano facilmente reperibili, ma anche che tutte quelle vendute in un lasso di tempo preciso erano regolarmente denunciate e collocabili, ad eccezione di una: quella acquistata da Franco Aresti, lontano parente dei Vinci emigrato e morto in Olanda, di cui si sono perse le tracce.
Con questo racconto non ci avventureremo in campi di non nostra competenza, ma cercheremo di far rivivere questa vicenda partendo proprio da chi l’ha già con serietà studiata e facendovi fare ciò che noi abbiamo già fatto: un viaggio nel tempo attraverso città, paesi, colline, strade di campagna, testimoni del più grande caso di cronaca nera italiana. Qualora notaste errori o imperfezioni o vi sentiste in qualsiasi modo in dovere di intervenire, noi siamo qua, pronti a darvi voce.
Andrea Ceccherini
Fonti:
Storia delle merende infami, Nino Filastò
Dolci Colline di Sangue, Mario Spezi, Douglas Preston
Mostro di Firenze – Al di là di ogni ragionevole dubbio, Paolo Cochi, Michele Bruno, Francesco Cappelletti
insufficienzadiprove.blogspot.