Charles Szymkowicz – autore del Drappellone – è nato a Charleroi, in Belgio, da genitori ebrei polacchi fuggiti dalle persecuzioni naziste. Una vita per l’arte, una memoria viva degli orrori del Novecento, un amore sconfinato per Siena e la Toscana. Lo abbiamo incontrato ieri, accompagnato dalla figlia Sarah, per conoscere più da vicino l’uomo e la sua arte, ma soprattutto per scoprire cosa si muove nel cuore e negli occhi di chi ha posto la sua firma sulla seta prima che venga alzata al cielo dal popolo vincitore.
Manca poco alla presentazione, quali sensazioni prevalgono in lei?
“In questo momento non posso nemmeno immaginare come sarà questa sera. Voglio restare calmo per vivere ogni secondo di questo momento che arriva una sola volta nella vita di un artista”.
Come nasce il suo Drappellone?
“Come per ogni mio lavoro non faccio mai un’analisi del risultato, sicuramente non prima, a volte forse dopo. Un pittore può avere solo in parte la conoscenza di ciò che fa, perché resta il mistero della creazione. Un’opera nasce dall’inconscio del suo autore”.
Quanto è legato a Siena e alla Toscana?
“Ho scoperto la Toscana all’inizio degli anni ‘70, grazie all’amicizia con il grande artista Leo Ferré, che ho sempre ammirato, il quale venne in Toscana nel 1971 ed è scomparso a Castellina in Chianti nel 1993. Spero che il risultato di questo lavoro trasmetta il mio amore profondo e intenso per la città di Siena e per la Toscana.Il Palio è una carriera dove i cavalli sono i principali protagonisti e con questo Drappellone vorrei anche soprattutto fare un omaggio a mia figlia Sarah che ama i cavalli. Sarah ne aveva tre. Il primo cavallo che Sarah ha avuto si chiamava Toscana, gli altri due si chiamano Synal e Cameron, due cavalli bianchi. Sarah ha anche due pony, che si chiamano Picasso e Goya. Vivono con noi a Gerpinnes, nella campagna vicino a Charleroi. Anche per questo il Drappellone è dedicato a mia figlia Sarah”.
Per lei questo è l’anno di Siena, prima la mostra ai Magazzini del Sale ed ora la pittura del Drappellone…
“Direi proprio di sì, sono venuto molte volte a Siena nell’ultimo anno. Con la mostra “Mémoire du passé / Mémoire du futur” ho portato a Siena 130 opere, grazie anche all’aiuto di tanti amici e collaboratori che hanno curato questo ed altri allestimenti delle mie mostre. Abbiamo fatto fotografie di tutti i muri dei Magazzini del Sale, preso le misure, fatto una scelta delle opere… all’inizio dovevano essere ottanta, poi sono diventate il doppio. Un gran lavoro di preparazione”.
Viene definito un pittore neo-espressionista, si riconosce in questa definizione?
“Sì e no. Da un lato è un modo semplice per situare un artista, dall’altro ho sempre avuto paura, non solo per la mia arte ma per tutti, quando si utilizza una sola parola per definire il lavoro della pittura. Ad esempio oggi la maggior parte della gente, se fai un sondaggio, alla domanda “Quale pittore ami di più?” risponde “Mi piace molto l’impressionismo”. L’impressionismo è un movimento molto importante dell’arte ma dentro questa parola “impressionismo” si trovano mille pittori differenti, molto diversi tra loro. È troppo semplice rispondere solo questo. Oggi viviamo in un tempo in cui la gente ama molto la semplificazione delle cose, ma quando si semplifica tutto non resta nulla. Il prof. Crispolti, la prima volta che ha scritto un testo importante sul mio lavoro, in occasione della mostra alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” a San Giminiano, ha descritto il mio lavoro come espressionismo etico. È una definizione interessante”.
E questo Drappellone è un po’ espressionista?
“Il Palio, possiamo dire che è espressionista in sé: gente che ride, parla, grida, piange, canta… se il Drappellone è un po’ espressionista non lo so, questo lo diranno altri”.
C’è qualcosa della storia della sua famiglia in questo Drappellone?
“C’è chi diceva ‘chi non conosce nulla del suo passato è condannato a riviverlo di nuovo’, ma anche ‘una persona che non è fatta di memoria è fatta di nulla’. Tutti sono portatori di memoria, la memoria personale ma anche la memoria universale, serve per andare avanti. C’è uno scrittore molto importante in Francia, di origine ebraiche ed italiane, che si chiama Patrick Modiano che dice che c’è un fenomeno che riguarda tutte le persone, ebree ma non solo, che sono nate negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, che non hanno conosciuto direttamente la guerra, ma è gente un po’ speciale che senza sapere perché è alla ricerca del passato. Non sono il solo a pensare che l’origine dell’arte, del mistero dell’arte, abbia qualcosa a che vedere con l’inquietudine. È possibile che nell’inconscio della mia arte si possa trovare una parte di questa inquietudine”.
In che modo è riuscito ad entrare in contatto con la storia e le tradizioni di Siena, a raccogliere gli elementi per dipingere il Drappellone?
“Il paesaggio è qualcosa di molto importante per capire e sentire una parte del mondo: le colline, gli alberi, i girasoli… (si rivolge a sua figlia Sarah) Fin da quando era piccola lei si arrabbiava perché ogni anno nello stesso posto volevo fotografarla tra i girasoli. Poi ho parlato con molte persone, con la brava artista Laura Brocchi, ma è da tanti anni che mi interesso al Palio e ho diversi libri sui Drappelloni del passato: Guttuso, Cremonini, Botero e tanti altri. È molto interessante vedere come si possano trovare formule totalmente diverse ma che allo stesso tempo rispettano lo stesso tema”.
In questo senso il Drappellone è un caso forse unico al mondo?
“(pensa a lungo…) Sì, è vero, non è facile trovare altri esempi analoghi, in cui artisti molto diversi tra loro devono realizzare un’opera d’arte seguendo le stesse consegne, le stesse regole… sì, è un caso raro se non unico, è difficile trovare un altro esempio simile”.
Che emozione ha provato quando le hanno comunicato che avrebbe dipinto il Drappellone?
“Prima c’è stata una grande suspense, dal momento in cui ho portato il bozzetto al sindaco Bruno Valentini a quando ho saputo della decisione. Quando mi hanno telefonato dal Comune di Siena per comunicarmelo è stata un’emozione totale, inaspettata. È stata la realizzazione di un sogno. Mi hanno chiesto di venire nel giro di pochi giorni ed ho preso il primo volo possibile per arrivare”.
C’è qualcuno in particolare che desidera ringraziare?
Desidero rendere omaggio alla famiglia di Léo Ferré, se non avessi conosciuto lui e la sua famiglia non sarei mai venuto in Toscana e a Siena. Poi desidero ringraziare il professor Crispolti, per me è un onore che a lui piaccia questo Drappellone. Abbiamo lavorato insieme in molti progetti, a San Gimignano, a Berlino, in Belgio, a Chicago, qui a Siena… lui è davvero un sapiente”.
Enrico Bertelli