Avio Tanganelli (Giraffa): “Non ho mai portato il cavallo bono”

Avio Tanganelli, contradaiolo della Giraffa, racconta cosa vuol dire andare a prendere il cavallo con la fortuna che lo ha sempre abbracciato. Rivolge uno sguardo al passato di Siena e di quelle contrade ricche di valori che, adesso, sembrano essersi persi.

La spettacolarità del Palio, oltre alla corsa, sono i contradaioli. Quelli di oggi, ma sopratutto quelli di ieri, quelli che vivono nelle storie raccontate nelle fresche serate estive, quelli che popolano le prime file delle rivali che si scontravano con quella rabbia genuina, tutta senese. Sono quei contradaioli che guardiamo con rispetto e da cui tutti, almeno una volta, abbiamo imparato qualche lezione di vita, un valore importante o semplicemente a non mettere i piedi sopra le sedie, perché la contrada va rispettata come se fosse casa nostra. Avio Tanganelli, classe 1947, Giraffino verace e passionale, è esattamente uno di questi. Lo incontriamo proprio in Piazza Provenzano e con lui c’è la nipotina che dorme beata e a cui lui rivolge un tenero sorriso: “Sai, adesso faccio il nonno a tempo pieno…”. E con le bandiere della Giraffa che sventolano allegre sopra le nostre teste, Avio ci racconta di una Siena lontana, di una contrada che non c’è più e di quella volta che ha portato il cavallo vittorioso… Anzi, di ‘quelle volte‘!

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Quante volte sei andato a prendere il cavallo?

“Ci sono stato due volte e due volte ho portato il cavallo vittorioso! A luglio del ’97 ho portato Penna Bianca e nel 2004 Donosu Tou. Nonostante la vittoria, non ho mai portato il cavallo ‘bono’, anzi. Nel 2004 al capitano Pietro Bazzani gli dissi proprio ‘non ti porto il primo cavallo, ma quello che vince’. Sono fortunato, ogni 7 anni in Giraffa arriva il cavallo vittorioso.”

La fortuna sembra farsi sentire ancora di più quando ad arrivare non è esattamente il primo cavallo, ma vince lo stesso…

“Vero! Nel ’97, anno del cappotto, erano rimasti 4 cavalli di cui Penna Bianca era il peggio: c’erano Careca, Quarnero e Vittorio… il Gratta, grande contradaiolo che sicuramente avrai già sentito nominare, mi disse: ‘Un ci pensà, prendi Penna Bianca e vieni via’ e io lo presi… E venni via! A volte la fortuna va aiutata, altre volte sembra che sia lei a venirti a cercare… Anche nel 2004 s’era rimasti in fondo, si mancava noi e l’Oca. Da loro c’era il Bobo a prendere il cavallo, erano rimasti Donosu e Acquario e lui mi chiese chi volevo… Lasciai scegliere a lui che scelse Acquario. Quando mi rivide, mi disse: ‘Oh, la prossima volta scegli te eh!'”

Andare a prendere il cavallo ti da una responsabilità grandissima: cosa si prova?

“E’ vero, la responsabilità è grande, ma ti da anche una gioia immensa, una forte soddisfazione, sei te l’uomo fortunato che è stato scelto! Alcuni non se la sentono e preferiscono rifiutare. Io in contrada ho fatto di tutto, guardiafantino, vice presidente di società, mi sono sempre ‘confuso’ con il bar e tra tutto avrò fatto 20-25 anni di economato… Però, andare a prendere il cavallo resta un’esperienza unica: la sera prima tutti iniziano a cantarti, stai in compagnia, bevi e ribevi”.

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In base a cosa si dovrebbe scegliere chi va a prendere il cavallo, secondo te?

“Ci dovrebbe andare chi se lo merita. Chi lavora, chi si impegna senza chiedere niente in cambio e chi è sempre rispettoso. Ovviamente, sarebbe meglio che fosse anche uno ‘conosciuto’ e non un quattrogiornista. Andare a prendere il cavallo è un grande onore e ci deve andare chi lo merita”.

C’è stato un rito particolare, qualcosa che hai fatto prima di andare in Piazza?

“Sai, io non sono un grande credente, però la mattina ho portato il nerbo (ci vado sempre con il mio) a benedire dai frati di San Francesco e ho portato i fiori alla Madonna delle Grazie nell’Aquila e a quella di Provenzano, ovviamente. Ripeto, non sono un grande credente ma il Palio vive tra sacro e profano ed è capace di risvegliarti emozioni incredibili… In quei giorni ti aggrappi a tutto e torna anche la fede. Ah, io in chiesa mi comporto educatamente come se entrassi in casa di un altro eh!”

Nonostante non siano passati così tanti anni, sembra di sentir parlare di un tempo lontano… Sono cambiate molte cose?

“Sì, tutto! Intanto, una volta in contrada ci si voleva bene… Ora meno. Un tempo si faceva la cena della prova generale in 100 persone, s’era pochi e ci si conosceva tutti. La gente adesso non vive più nel rione e questo contribuisce a far perdere i valori contradaioli. Pensa che ci manca anche i posti nel palco, quando prima si doveva faticare per riempirlo! Quello che mi fa piacere è il bel lavoro che stanno facendo il Gruppo Piccoli e il Gruppo Giovani, anche se rispetto a quando ero giovane io, le cose sono completamente cambiate!”

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(Nella foto, Avio Tanganelli viene portato via dai vigili)

Non pensi che siano anche gli adulti a non avere più la stessa voglia di star dietro ai giovani?

“E’ vero. L’insegnamento della contrada deve partire da noi e, sinceramente, ci vorrebbe qualche scapaccione in più. A noi per poter stare cinque minuti dentro società, ci mandavano a prendere il ghiaccio fuori Porta Ovile e ci facevamo tutta via del comune con le sacche che pesavano!”

Fatti recenti dimostrano che sono anche i cazzotti ad esser cambiati. Che pensi degli avvisi di garanzia ai contradaioli?
” Penso che sia stato uno sbaglio enorme! I cazzotti del Palio, quelli sani, non hanno mai fatto male a nessuno e se sono fatti seguendo le regole, senza eccedere o andando fuori dal seminato, restano inerenti alla nostra tradizione. Anche le forze dell’ordine lo hanno sempre saputo… Una volta volevo picchiare il mossiere, i vigili mi hanno fermato, ma poi è finita lì. Una volta sì che si facevano bene! La sera della prova generale del ’67 avevo vent’anni e ho fatto la mia prima cazzottata col Bruco: prima usava, dopo la cena, andare in su con bandiere e tamburi. Ecco, noi si veniva in su, il Bruco veniva in giù, il Gratta disse ‘via!’… e davanti al coltellinaio alla Croce del Travaglio ce le siamo date di santa ragione!”

Che posto occupa la Giraffa nella tua vita?

“Una volta usava dire che, nella vita, la contrada viene subito dopo la famiglia. Ecco, io a volte ho trascurato la famiglia per la contrada, me lo dice spesso mia moglie, Giraffina anche lei. A me la Giraffa ha dato tanto e credo di averla ripagata sia con il lavoro che con la passione che ho messo in ogni impegno che ho preso. Però voglio essere onesto: ho tralasciato la mia famiglia… Poi è nato il mio amore (la nipote ndr.) e adesso faccio il nonno a tempo pieno! Mia moglie mi dice ‘chi lo avrebbe mai detto!'”

Come descriveresti il tuo essere contradaiolo?

“Ora, non voglio dire di essere un contradaiolo di serie A… Ma sono un bel contradaiolo!”

Arianna Falchi