Paolo Neri (Nicchio): “Il Palio è metafora della vita”

Paolo Neri è stato priore e capitano del Nicchio per ben due volte. Nella sua lunga esperienza contradaiola, ha visto come Siena, il Palio e le Contrade hanno subìto radicali cambiamenti, oggi ben visibili.

‘L’ultimo dei gentiluomini’, forse. Una figura autoritaria e infinitamente dolce al tempo stesso, i modi gentili e il piglio sicuro, gli occhi curiosi dentro ai quali si può facilmente intravedere tutta l’esperienza, l’immensa cultura e l’interesse per il mondo circostante, in continuo cambiamento. Paolo Neri, contradaiolo del Nicchio, ha 80 anni di Siena sulle spalle e nelle parole. Un capitano e un priore, un tenente vittorioso, un uomo sanguigno e razionale al tempo stesso che ha visto il lento cambiamento del Palio e delle contrade che oggi, con un po’ di malinconia, racconta attraverso un’analisi precisa e ben ragionata. Paolo Neri, non lascia pensieri al caso. Ascoltarlo nelle sue riflessioni sembra quasi un regalo, perché quella Siena ricca di cultura e tradizione non vive solo nelle antiche mura o nelle lastre… Ma vive nelle persone. Vive nei contradaioli come Paolo Neri.

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Professor Neri, lei è stato sia capitano che priore, che esperienze sono state?

“Sono state esperienze diverse, una più adrenalinica e una più gestionale. Il Nicchio, oltre ad essere una contrada molto popolosa, ha un capitolato diverso dalle altre contrade, per via delle commissioni sempre attive. Nonostante due mandati da capitano, la vittoria è arrivata nel ’69 quando ero tenente”.

In più, lei è presidente dell’associazione Arte dei Vasai Onlus

“Sì, l’associazione parte dalla contrada e opera sia nel sociale sia per promuovere e valorizzare l’arte e i beni culturali. Ultimamente abbiamo anche ristrutturato la Lupa di Ponte di Romana, e abbiamo in programma di creare qualcosa che possa fruttare posti di lavoro, investire sull’artigianato. Inizialmente l’associazione è stata accolta con un po’ di perplessità, ma adesso è efficiente e ha spesso sostituito i contributi della Fondazione”.

Crede che sia un aspetto delle contrade che viene spesso dimenticato?

“Credo che le contrade non debbano unicamente fare il Palio. E’ un’idea fascista rimasta dal 1939, quando il segretario del Partito Nazionale Fascista, Starace, venne a Siena. Le contrade dovevano essere inserite nell’Opera Nazionale del Dopolavoro ed il Socini, per salvare la situazione, le dichiarò dipendenti dal Comune di Siena: le contrade dovevano occuparsi solo di Palio. Purtroppo è rimasta questa idea, ma le contrade hanno una storia da tramandare, sono un patrimonio e chi ha avuto questa eredità è obbligato a preservarla e tramandarla. Il contradaiolo deve dare, perché è l’espressione più alta dell’amore”.

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Il Palio è veramente cambiato? Come, secondo lei?

“Il Palio è molto cambiato. E’ il baricentro delle corse a pelo che si svolgono in Italia e attira l’attenzione di tutti, portandosi dietro una serie di problemi e sospetti, oltre alla questione degli animalisti e alle inchieste che sicuramente porteranno lontano. Per un fantino, correre il Palio di Siena è come per un cantante esibirsi alla Scala: nei paliotti si recuperano i costi, ma il fine ultimo è correre qui. Un giovane deve cercare di figurare bene, il Palio è un teatro e loro cercano di ritagliarsi un personaggio per durare in scena. Anche tutte le varie regolamentazioni che sono state aggiunte nel tempo, aumentano la libertà individuale ma, d’altra parte, cresce il peso burocratico, schiacciando la libertà collettiva e questo ha portato a una disaffezione stranissima sia per i giovani che per i vecchi. Credo che il Palio evolverà verso qualcosa di più commerciale, sempre bello ma senza sapore”.

Anche la vita contradaiola ha subìto cambiamenti?

“La gente non è pronta ad ascoltare. C’è un’enorme solitudine, nonostante il mito del falso contatto dato dalla tecnologia: siamo convinti di essere sempre sempre contornati da persone, ma non c’è più abitudine al dialogo. In più, le contrade si sono allargate tantissimo, non ci sono più popoli, ma folle e spesso arriviamo in contrada e neanche ci si conosce l’uno con l’altro… Io ci sono da 80 anni nel Nicchio, eppure mi capita di non conoscere qualcuno. Questo dispiace, perché il Palio e le contrade sono uno spettacolo unico, in un mondo piatto. Manca l’aspetto devozionale, la valenza civica, un modo per celebrare la città stato. L’immagine della città deve essere tutelata: Siena è una capitale, un fulcro culturale e religioso”.

Secondo lei, i media locali come raccontano la Festa?

“Male! Vanno dietro ai gusti della folla. Ad esempio, non propongono una vera analisi tecnica dell’aspetto equino, si resta attaccati alla ‘brenna’ e al ‘bombolone’ senza parlare delle vere qualità del cavallo, che è un animale così sensibile che un anno è in un modo, l’anno dopo chissà! Si concentrano sulle interviste ai capitani che parlano di strategie che non esistono più e ai fantini, che giustamente fanno il loro interesse. In questo modo, i giovani che crescono con queste nozioni, sanno più di fantini che di contrada. Si formano castelli, anche i ‘bigghi’ (come li chiama Tonino Cossu) falliscono, il Palio è dispettoso”.

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Il Palio è nell’occhio del ciclone, gli avvisi di garanzia arrivati ai contradaioli hanno suscitato molto fermento…

“Le riprese televisive si sono sempre concentrate sulla corsa, si è sempre visto poco di ciò che succedeva dopo. Sono i telefonini che non censurano, oggi hai una visione del post palio che prima non esisteva e la sensibilità di chi non è di Siena non comprende. In più sono cambiate anche le rivalità: capisco il cazzotto di pancia ma non capisco l’organizzazione… Questo ci avvicina molto alle tifoserie”.

Quindi, anche il modo di vivere le rivalità ha subìto cambiamenti?

“Certo, adesso sono rivalità incapsulate. Una volta finivano e rinascevano, adesso avere la rivale è diventato un rito, una vita imbalsamata, un volere una rivale per forza perché altrimenti è come non esistere. In passato, le rivalità erano quasi una iettatura e si cercava di romperle, più che di crearle. Anche le alleanze nascono per motivi diversi da quelli che crediamo: in passato erano aggregazioni di origine religiosa, poi, sul campo, potevano anche nerbarsi”.

Ci sono nicchiaioli che hanno segnato la sua vita contradaiola?

“Ce ne sono molti: Enzo Marzocchi mi ha allevato. Adige Bartalozzi, uno straordinario filosofo contradaiolo, il notaio De Santi o Giancarlo Cambi, il contraaiolo come deve essere… tutte persone con cui sono in sintonia. Ci sono anche molti giovani che mi piacciono parecchio. Poi, come non citare Lucia Cioni, una donna coraggiosa, una grande Capitana e una meravigliosa madre: io ho una grande ammirazione per le donne, sono il sale della terra e quando non funzionano le donne… E’ un guaio!”

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Da qui arriviamo alla figura della donna in contrada, non sempre valorizzata…

“In contrada le donne sono molto importanti, ma vi sono anche donne stupide, purtroppo! La donna ha un ruolo difficilissimo, il più duro, e sono i valori femminili a dover essere esealtati, oltre alle donne”.

Come definirebbe il suo essere contradaiolo?

“Io sono un contradaiolo un po’ troppo celebrale. Di fatto sono sanguigno, ma tendo a razionalizzare perché mi intriga la storia, la tradizione… Questo mi fa giudicare distante, a volte. Nella mia esperienza, ho capito che il Palio è una metafora della vita: lo scopo non è il successo, ma come si partecipa. Mi viene in mente una frase di Santa Caterina: ‘Non è buono il cavaliere se non si prova sul campo di battaglia’.

Arianna Falchi