Luigi Bicchi, Il gioco dei nomi (Le indagini del maresciallo Casati)

Luigi Bicchi, Il gioco dei nomi (Le indagini del maresciallo Casati)

Un ciclo di romanzi (ad esempio, “Il ciclo dei Rougon-Macquart” di Zola) o una serie di romanzi incentrati sullo stesso protagonista (come il commissario Montalbano nei gialli di Camilleri), finisce col creare, all’interno del rapporto tra chi scrive e chi legge, un’aria di famiglia. Certi personaggi, con le loro manie e con i loro tratti distintivi, certi luoghi – ambienti chiusi, ambienti aperti – a loro cari e da loro frequentati, certe espressioni ricorrenti nel loro modo di esprimersi, rafforzano l’illusione che quell’uomo o quella donna incontrati sulla pagina appartengano, in realtà, al nostro quotidiano, al punto che facciamo fatica a distinguere se li abbiamo incontrati nel bar sotto casa o in un precedente libro.

E’ quanto accade anche con l’opera del senese Luigi Bicchi, il quale ha appena pubblicato un nuovo romanzo, “Il gioco dei nomi”, che costituisce un nuovo episodio, dopo i due precedenti “Il gioco delle tombe” (2014) e “Il gioco del tempo” (2015), delle indagini del maresciallo Casati. Il quattrocentesco Palazzo dei Leoni e le strade di una Firenze più popolare fanno da sfondo a una vicenda che, come spesso accade nel moderno “noir”, si configura non già come una semplice indagine investigativa tesa a risolvere un delitto misterioso, ma anche come un lucido sguardo gettato sulla società contemporanea, coi suoi tanti vizi e le sue poche virtù. Il passo che viene riportato costituisce l’incipit del romanzo. L’afa insopportabile che avvolge Firenze, sin da subito si carica di una valenza allegorica, suggerendo una ben altra forma di “oppressione”, morale e non semplicemente atmosferica.

“Da una settimana un caldo ossessivo si era impadronito di Firenze. L’aria, diventata ormai un liquido oleoso che bruciava i polmoni, aggrediva stordendolo chiunque si fosse avventurato fuori dagli spazi d’ombra. Nessuno in città ricordava simili temperature nel mese di maggio, anche le statistiche tacevano sconcertate. I giornali locali, in assenza di altro, non avevano perso l’occasione di trasformare quella punta anomala di alta pressione nella notizia più importante, ormai si parlava solo di quello. Non erano i soli, anche i meteorologi, per non essere da meno, avevano offerto il loro contributo affrettandosi a trovarle subito un nome: Vulcano. E del dio greco pareva che si fosse riversata sulla città l’intera officina, non solo per il caldo quasi insopportabile, ma per uno strano fenomeno di amplificazione dei rumori prodotti dalle auto, dai motocicli, furgoni, camion, bus che, forse per manifestare la loro contrarietà a quell’afa, strombazzavano a più non posso. Questo fu un ulteriore elemento di sorpresa e di riflessione che impegnò, per trovare le opportune motivazioni, gli stessi meteorologi, gli psicologi, i filosofi, i nutrizionisti e i tuttologi di ogni parte. Nel marasma, gli unici, o quasi, a trarre vantaggio da tutto quel disagio, furono i consueti direttori dei giornali che videro comunque assicurata la copertura delle pagine dei quotidiani nonostante l’improvviso diminuire di furti, rapine, scippi che certamente avevano risentito dell’ondata di calore, mentre rimanevano più o meno stabili i delitti contro la morale pubblica. Questi, si sa, avvenendo per lo più di notte, poco avevano da temere dagli strali di Vulcano”.

 

Luigi Bicchi, Il gioco dei nomi (Le indagini del maresciallo Casati), Siena, Betti, 2016

Luigi Bicchi, Il gioco dei nomi (Le indagini del maresciallo Casati), Siena, Betti, 2016

 

a cura di Francesco Ricci