Mita Feri, L’emozione non lascia scampo

Mita Feri, L’emozione non lascia scampo, Roma, Progetto Cultura, 2016

Virgilio non dubitò mai che spettasse all’amicizia molto più che all’amore salvare l’uomo dalla solitudine. E’ anche questo il senso delle pagine, straordinarie, dedicate agli episodi di Enea e Didone e di Eurialo e Niso, rispettivamente nel quarto e nel nono libro dell’ “Eneide”.

Esiste, infatti, un limite invalicabile tra le persone, che solamente il sentimento amicale riesce a rendere impercettibile, quasi inesistente, mentre l’amore, prima o poi, comporta che si faccia amaramente esperienza dell’irrimediabile alterità e della distanza: la fusionalità completa rimane un’aspirazione votata alla delusione, appartiene al mito, non alla storia, al sogno, non alla realtà. E ciò che valeva ieri, vale a maggior ragione oggi, oggi che parlare di società significa parlare di un insieme di individui irrelati, omologati, che conducono vite frettolose, che non sono padroni del loro tempo, spesso eterodiretti, incapaci di scandagliare le profondità del proprio “io” e perciò di conoscersi, dominati dall’etica del profitto e da un’estetica dell’apparenza. E’ all’interno di questo orizzonte, orizzonte sociale, orizzonte affettivo, che si viene a collocare l’ultimo romanzo di Mita Feri, “L’emozione non lascia scampo”.

L’amore e l’amicizia, nella loro eziologia, nella loro fenomenologia, ne costituiscono i temi di fondo, originando un doppio movimento, strutturale e narrativo, che unisce e separa i personaggi, assecondando alla perfezione la natura mutevole, e mai pacificante, dei legami umani, in particolare dei legami d’amore. Anche questi, infatti, al pari di tutto ciò che appartiene alla dimensione mondana, nascono e muoiono, molte volte non in maniera improvvisa, inattesa; piuttosto, come si legge in una bellissima lirica di Derek Walcott, “vengon meno, sbiadiscono, / come il sole sbiadisce dalla carne, / come la schiuma esala nella sabbia”. Ma questa dolente e rassegnata constatazione è accompagnata nel libro – e resa meno cupa – dalla fiducia che Feri mostra di nutrire nei ragazzi, nei più giovani, i quali, con il loro idealismo, con la loro libertà, con la loro sincerità, suggeriscono una possibilità esistenziale “altra” rispetto a quella degli adulti, oramai incapaci di relazionarsi senza farsi guidare dal proprio tornaconto personale.

Il brano che segue costituisce un buon esempio tanto della capacità descrittiva dell’autrice quanto della naturalezza con la quale si passa dalla dimensione esterna alla dimensione interna del personaggio.

“Il sole era già alto. Un cielo bellissimo lasciava presagire un’accogliente giornata festosa di canti d’uccelli. Si alzò con fare lento e svogliato, scostò leggermente le tendine di pizzo, per abituarsi pian pianino a quella luce accecante che danzava, come se la vedesse per la prima volta, poi le spalancò con fare deciso e aprì le finestre. Respirò a pieni polmoni l’aria mattutina, lasciando che la leggera brezza le accarezzasse il viso, per rinfrancarsi con il proprio universo interiore. Il campanello iniziò a squillare, lo lasciò fare, fino a quando per sfinimento non smise. Un giorno nuovo aveva inizio. Tania adesso era più consapevole, con una nuova percezione e prospettiva di sé. Doveva riordinare le idee e riprendere in mano l’andamento della sua vita, affrontare anche Guido, le famiglie, ma ne aveva tutto il tempo e stavolta percepiva che l’avrebbe speso bene, facendo più rumore. La felicità ritrovata sarebbe stata chiassosa, esuberante, dolce e colma di soddisfazione, ricca del suo volersi bene”.

 

Mita Feri, L’emozione non lascia scampo, Roma, Progetto Cultura, 2016

Mita Feri, L’emozione non lascia scampo, Roma, Progetto Cultura, 2016

 

a cura di Francesco Ricci