Il senso di Siena per il vaccino antitumorale

Pierpaolo Correale, medico oncologo dell’Azienda ospedaliera senese e originario della città di Napoli,  ha spiegato il suo interessante percorso professionale e di ricerca nel campo della immunoterapia. Insieme al suo team è approdato alla sperimentazione di un vaccino antitumorale che potrebbe rappresentare una rivoluzione del campo della scienza e della medicina.

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Quando e dove ha incominciato a occuparsi di vaccini antitumorali?

“Ho cominciato ad occuparmi di immunoterapia e vaccini antitumorali intorno nel 1988, subito dopo la laurea, quando l’immunoterapia non era ancora considerata neppure un fatto realistico. Negli Stati Uniti ho lavorato dal ’93 al ’98 al National Cancer Institute di Bethesda MD USA, e già da allora sono stato uno dei primi ad occuparmi dei vaccini antitumorali. In particolare ho partecipato alla realizzazione di un vaccino contro il carcinoma prostatico e carcinoma del colon, che più avanti sono entrati in sperimentazione clinica. Quando sono arrivato a Siena nel ’98, con questo bagaglio scientifico cresciuto alla luce di grossi mentori, quali Angelo Raffaele Bianco, Pierosandro Tagliaferri, Jeffrey Schlom, Kwong yak Tsang e Michail Sitkowsky, ho raccolto la sfida di mettere su la tecnologia per creare questi vaccini in laboratorio anche qui in Italia e soprattutto di portarli in clinica”.

Lei lavora sia in clinica che in laboratorio?

“Questo tipo di formazione è definita “traslazionale” (dal laboratorio alla clinica e viceversa) e mi ha permesso di lavorare sia in clinica che in laboratorio, formando insieme alla professoressa Maria Grazia Cusi -che è una microbiologa dell’università di Siena- un vera e propria rete di ricerca ed un gruppo di lavoro sperimentale”.

Come si è organizzato il progetto del gruppo e come è stato finanziato?

“Io e la Professoressa Cusi avevamo delle competenze complementari: io mi occupavo di oncologia molecolare, immunologica e clinica, mentre lei è esperta di manipolazione genetica, costrutti virali e soprattutto di agenti in grado di potenziare la risposta immunologica verso batteri e virus. La nostra collaborazione ci ha permesso di ottenere negli anni una serie di finanziamenti ministeriali e pubblici. Siamo sempre stati sponsorizzati o dall’Università di Siena o dal Ministero della Salute, senza mai ricevere alcun appoggio delle case farmaceutiche o company internazionali. In questi anni -tengo a sottolineare- siamo stati aiutati da giovani che lavoravano e studiavano insieme a noi, molti dei quali lavorano con successo in altre università o nel privato”.

In parole semplici, come si è evoluto il vostro lavoro e cosa ha portato a scorprire?

“Negli anni abbiamo intrapreso due strade: da un lato creare vaccini preparati in modo tale da somigliare a dei virus cosicché l’organismo si allertasse contro il virus uccidendo la cellula tumorale; dall’altro creare dei piccoli peptidi (sono delle proteine molto piccole) sintetici che mimavano strutture molecolari sovraespresse nelle cellule tumorali ed indispensabili alla loro sopravvivenza nell’organismo. Ci siamo accorti che qualcosa non funzionava proprio nel tipo di sistema immunitario. Quando si fa un vaccino si addestra l’organismo a distruggere tutte le cellule tumorali che hanno quelle caratteristiche o che producono quella sostanza, ma noi abbiamo fatto un passo ulteriore: la caratteristica fondamentale della cellula tumorale è che ad un certo punto smette di produrre questa sostanza, si difende così. In questo modo però il sistema immune non la vede più e non la uccide più. Noi abbiamo creato un vaccino contro qualcosa che è indispensabile alla cellula tumorale, sperimentando un primo vaccino contro le metastasi ossee (PTHRP). Non avevamo esperienza di business aziendale, per cui abbiamo incautamente venduto il nostro primo brevetto, rimanendo noi sperimentatori e contando sulla protezione del nostro sistema universitario che ci ha guidati nella cessione. In realtà quella company ha comprato il vaccino dall’università ma poi ha messo il brevetto nel cassetto, per pura scelta aziendale. Quella company poi è fallita e il recupero del brevetto è stato impossibile. Ma c’è di buono che abbiamo fatto esperienza, abbiamo imparato a brevettare, a fidarci solo delle nostre forze affidandoci a case farmaceutiche solo in una fase avanzata dello studio del potenziale prodotto”.

Siete andati avanti fino alla sperimentazione di atto. In cosa consiste?

“Ideammo questo vaccino tra il 2004\2005, con un sistema peptidico nuovissimo contenente tre diverse parti di un enzima noto come timidilato sintasi. Questo enzima è sovraespresso in tutte le cellule tumorali e permette la loro moltiplicazione. Non esiste cellula che non si replichi utilizzando questo enzima, ed è talmente importante che è quello che viene utilizzato da alcuni dei più noti farmaci antitumorali (fluorouracile e pemetrexed). Le cellule tumorali si difendono dalla chemioterapia perchè il chemioterapico blocca l’enzima, la cellula tumorale inizia a produrre molto più enzima ma poi il farmaco non ce la fa più a bloccarlo. Se invece l’organismo viene immunizzato contro la timidito sintasi, un aumento della produzione di enzima comporta che le cellule vengano riconosciute meglio dal sistema immunitario e quindi uccise subito. Abbiamo cominciato questa sperimentazione prima in vitro e poi su topi “umanizzati”, che hanno un sistema immunitario molto simile a quello umano. Dopo essere stati vaccinati, è stato loro inoculato un tumore e con nostra somma sorpresa i topi che erano vaccinati non sviluppavano tumore”.

Potrebbe valere per ogni tipo di tumore?

“Teoricamente varrebbe per tutti i tipi di tumore, questo enzima è fondamentale. Un domani potrebbe essere addirittura un vaccino preventivo”.

La sperimentazione clinica sull’umano a quali risultati ha portato?

“Per fare questo studio sono state richieste ed ottenute specifiche e complesse autorizzazioni ministeriali e del comitato etico, e ovviamente tutti pazienti dovevano essere informati e chiedere specificamente di partecipare allo studio. Tutti i pazienti firmavano la documentazione di consenso, dovevano rispondere a determinate caratteristiche cliniche e soprattutto dovevano aver prima seguito la terapia standard per quel tipo di tumore. Il risultato è stato molto buono. Lo studio clinico è stato condotto nella UOC di Radioterapia a cui sono stato assegnato nel 2012 e diretto dal Prof. Luigi Pirtoli, radioterapista scientificamente molto motivato allo studio di queste problematiche. Abbiamo quindi sperimentato il vaccino in varie condizioni: il vaccino da solo e il vaccino insieme alla chemioterapia. E’ questa la novità: è il primo vaccino al mondo che può essere somministrato insieme alla chemioterapia che in genere erano considerati non compatibili. Dopo uno studio primario sul dosaggio, abbiamo capito che gli effetti collaterali sono quasi inesistenti. In questi pazienti, che in base alla letteratura avrebbero avuto un’ aspettativa di vita dai 3 ai 6 mesi, invece mostravano una sopravvivenza mediana di 16 mesi, considerando che avevano prima condotto una spossante chemioterapia ed erano pazienti molto provati. Da questo studio di “fase 1” possiamo dedurre due cose: il vaccino non è tossico e  induce immunità. Per dimostrare che la sopravvivenza aumenta con sicurezza occorre attendere i risultati della “fase 2“, in cui il vaccino viene sperimentato su pazienti che hanno tutti le medesime caratteristiche. Occorrono anni per avere risposte certe, in particolare non avendo company alle spalle, però, abbiamo il vantaggio di conoscere tutto di questo vaccino. Nello studio sono stati arruolati 50 pazienti, uno dei quali -ad esempio- ha cominciato il trattamento nel 2011 ed è ancora libero da malattia. Stiamo parlando in particolare del tumore del colon. Un altro paziente con un tumore alle vie biliari ha vissuto per 3 anni in ottime condizioni generali, con un’aspettativa di vita precedente di soli 3 mesi. Grazie alla valutazione positiva del professor Tonato e il professor Cascinu – molto noti nel mondo oncologico ed esterni all’Università di Siena- continueremo con la “fase 2” del nostro studio. Ci concentreremo per ora sul tumore del colon retto e, se riusciremo a trovare le risorse, anche sul tumore al polmone. Lo studio sui pazienti funziona per patologia, quindi si deve trattare di pazienti che chiaramente hanno la stessa patologia, avendo, i vari tumori, prognosi differenti”.

In questi giorni ci sarà un congresso a Monteriggioni. Come si svolgerà?

“Ho deciso di far incontrare i migliori esperti i prossimi 8 e 9 aprile. L’immunoterapia incontrerà il tumore del polmone, che oggi è il tumore più diffuso. Il primo giorno si tratterà di trattamento standard e poi verrà introdotta l’immunoterapia, come si può migliorarla, renderla sostenibile, come risparmiare. Ci saranno anche i miei colleghi e mentori americani esperti di immunologia preclinica e clinica. Ci auguriamo di pubblicare presto i risultati del meeting su una rivista scientifica internazionale”.

Sembra che la notizia non abbia avuto grande risonanza nonostante la sua importanza. Lei è soddisfatto? C’è qualcosa che vuole aggiungere?

“La vera cosa importante che voglio sottolineare è che per la prima volta al mondo lo stesso gruppo di lavoro costruisce un vaccino in laboratorio e poi lo porta in clinica. Tutto è stato fatto nello stesso istituto, tutto questo è patrimonio dell’Università, siamo noi i proprietari intellettuali. Questo potrebbe essere il primo vaccino immunologico di proprietà statale. E’ necessario che sia così e la vittoria è tutta dell’università pubblica italiana”.

Tilde Randazzo