A proposito di Festa e di Contrade

Forse non si riflette mai abbastanza che le Contrade, come oggi le conosciamo, sono solo la versione addomesticata delle antiche divisioni amministrative e militari in cui si articolò la Città-Stato senese. Con la fine della Repubblica, perdute le originarie funzioni, esse sopravvissero essenzialmente appassionandosi sempre più all’ultimo dei molti giochi che la Piazza ha ospitato nei secoli: il Palio ‘alla tonda’. Uno spettacolo che, non a caso, ebbe fortuna sotto l’egida del Principato mediceo, il quale non poteva gradire che i popoli delle Contrade si azzuffassero nelle Pugnate, o nelle loro versioni edulcorate, come le Asinate o le Bufalate. Tutti giochi che potevano risvegliare il mai domato spirito repubblicano dei Senesi, e il loro ricordo d’essere stati popolo in armi. Meglio, dunque, affidarne la rappresentanza a fantini mercenari, montati su cavalli di servizio, impegnati in una giostra a colpi di sovatto, trasformando i contradaioli, da protagonisti, in figuranti. In questo senso si può dire che l’invenzione del Palio ‘alla tonda’ (nemmeno parente del Palio alla ‘lunga’, che si correva in tutte le città del centro nord, ma con cavalli di pregio e di privati) fu uno strumento efficace per controllare completamente il popolo, mercé quel ‘governo stretto’ che l’oligarchia cittadina non era mai riuscita a istaurare, e cui si pervenne con la concessione, da parte di Filippo II di Spagna, della Città e Stato di Siena in feudo alla dinastia di Cosimo dei Medici. Non è un caso che il Palio ‘alla tonda’ nasca con le celebrazioni legate alla basilica di Provenzano, fortemente sostenuta dai Medici in contrapposizione con la Cattedrale, depositaria della tradizione repubblicana della Città. La Controriforma, poi, inserendo in quelle antiche istituzioni civili la sua ritualità barocca, le avvicinò alle Compagnie laicali, fin quasi a confonderle con esse. Ne è prova l’impegno che le Contrade allora mostrarono nell’organizzare processioni, nell’impegnarsi in opere di carità (come dotare fanciulle povere) o nel cacciare meretrici dal proprio territorio, mentre, contemporaneamente, andavano perdendo le loro antiche funzioni, prima di tutte quella militare. Tuttavia, pur sotto il dominio mediceo, l’oligarchia cittadina non rinunciò mai a testimoniare, in occasione della visita o il passaggio di qualche grande personaggio, la sopravvivenza di uno Stato senese. E la Festa con tanto di carri allegorici, comparse ordinate militarmente e giostra finale, fu il mezzo teatrale più idoneo allo scopo.

Gradatamente, il superamento di uno stile (forzatamente) austero a favore di un consumismo gastronomico ossessivo e la prepotente invasione nel Palio della visibilità televisiva, hanno finito col mutare ulteriormente e profondamente la natura delle Contrade, facendone prevalere gli impegni essenzialmente sulla conquista del drappellone e sulle attività per sostenere il peso delle relative, esorbitanti spese. In questo modo esse rischiano di trasformarsi in associazioni dedite alla sola Palio-gastronomia: ben lontane, quindi, dalla loro origine d’istituzioni repubblicane, eredi e protagoniste di un rito politico-religioso, cui è legata l’immagine più profonda e vera della Città. Immagine, ora più che mai, focalizzata sulla sola drammaticità della corsa, di cui le masse televisive si sollazzano senza capirne l’essenza, spesso criticandola senza capire.

Un pericolo, però, che non si esorcizza, proclamando che il Palio è solo dei Senesi, poiché, come sopra ricordato, la Festa mai si fece solo per i Senesi.

Se impedire le riprese televisive (e limitarne il danno) non è ormai possibile, è, invece, possibile impedire che fasi cruciali del Palio, come la mossa, siano sottomesse all’autogestione dei fantini o ai soli interessi particolari delle Contrade.

Infatti, parlando di mossa, lo spirito e la lettera del Regolamento ci dicono che essa dovrebbe essere rapida e la più ordinata possibile, onde evitarne un’anarchia più adatta a un paliotto paesano.

Né vale invocare la ‘giostra’, la quale, a norma dell’art. 84, non è consentita all’interno dei canapi, poiché l’articolo citato consente l’uso aggressivo del nerbo (arma principe della ‘giostra) solo dopo il bandierino. Senza dimenticare il tormento che le attese snervanti arrecano ai cavalli (o i drammi escretori di chi si trova prigioniero, per ore, della conchiglia).

Tuttavia, non è possibile sperare in mosse rapide e decorose, limitando la discrezionalità del Mossiere nell’infliggere richiami ai fantini, con conseguenti sanzioni esemplari per volontari cambi di posto. Soprattutto, non lo è senza fissare norme efficaci per limitare (e non per accrescere) lo strapotere della rincorsa: anche a costo d’intralciare le ‘strategie’ ventilate, più per vanità di vetrina che per una loro reale consistenza, da alcuni allievi di Napoleone.

 

Paolo Neri