Il furbo stratagemma dei senesi nella battaglia di Montaperti

Il 3 settembre 1260 siamo alla vigilia della battaglia di Montaperti e l’esercito senese-ghibellino esce da Porta San Viene, diretto al Poggio delle Ropole (l’odierno paese di Taverne d’Arbia), in prossimità dell’accampamento fiorentino-guelfo, che si era spostato nel frattempo sul Poggio delle Cortine, da dove poteva controllare i movimenti dei ghibellini. La leggenda racconta che i senesi fecero sfilare il proprio esercito per tre volte davanti ai nemici, cambiando ogni volta le sopravvesti con i colori dei Terzi di Siena, cercando di far credere che le proprie forze fossero tre volte più numerose di quanto lo fossero in realtà. Studi recenti attestano le modalità di reclutamento del Comune: sono chiamati a combattere tutti i cittadini e gli abitanti del contado abili all’uso delle armi, in età compresa tra i 16 e i 70 anni. Vengono chiamati fanti e cavalieri, oltre al corpo scelto di balestrieri, fiore all’occhiello della milizia senese, e ai pavesari, incaricati di riparare gli arceri sotto un grande scudo di legno a forma rettangolare, il pavese appunto, al momento di scagliare i dardi e soprattutto di ricaricare le balestre. Non mancano maestri di pietra, legname e mannaia, necessari per innalzare le opere d’assedio e gli zappatori utili per scavare trincee e fossati mentre i suonatori sono chiamati per assicurare la circolazione delle comunicazioni marziali. La partenza dell’esercito e la sua uscita da Porta San Viene, contrariamente a quanto riportato nella Cronaca di Niccolò di Giovanni Ventura, sembra che non sia avvenuta simultaneamente, ma in più scaglioni, al fine di evitare un enorme e dannoso ingorgo. I due eserciti sono pronti alla leggendaria battaglia che si consumerà il giorno seguente.

Maura Martellucci

Roberto Cresti