Il 12 febbraio 1318, è Carnevale, si disputa un gioco delle pugna in Piazza del Campo. Il combattimento, che vede il Terzo di Città contro quelli uniti di San Martino e di Camollia, comincia con la solita animosità, ma entro i limiti delle regole. Poi, quando è chiaro che nessuna delle due parti riesce ad avere la meglio, la cosa trascende e il gioco degenera. Dai pugni si passa ai sassi (così come era successo, del resto, in un’analoga occasione nel novembre del 1291 con uso anche di armi) e il podestà è costretto a far uscire la sua guardia per evitare che la rissa che ormai è scoppiata diventi una guerra. E mal gliene incoglie perché anche i suoi armati sono presi a sassate. La battaglia si calma solo quando sopraggiunge la notte.
La mattina dopo, scrive il cronista Agnolo di Tura del Grasso, sotto il Palazzo comunale c’era una quantità tele di sassi che ci sarebbe costruita mezza casa. Il bilancio è drammatico: le pugna sono costate la vita a 10 persone e oltre cento sono i feriti. La cosa si ripete, per il Carnevale del 1325, quando le pugna mascherano un tentativo di eversione contro il regime guelfo, borghese dei Nove e trascendono in assalti e incendi di case e botteghe.
A Siena il Carnevale si festeggiava giocando alla pugna e alla pallonata nel Campo.
E se la pugna era una sorta di scazzottata generale praticata sin dal Medioevo, la pallonata era simile, solo che stavolta lo scopo era buttare un pallone, di solito lanciato dall’alto della Torre del Mangia ad inizio partita, nella porta avversaria, costituita dalla bocca del Casato e dall’imbocco del Porrione. Con il tempo, però, in questi giochi erano stati introdotti troppi abusi et inconvenienti e così il 14 gennaio 1718 la Balia emise nuove disposizioni nel tentativo di regolarli meglio. Interessante l’articolo 6: la partita di pallone doveva durare almeno 15 minuti, e siccome i capi delle squadre erano troppo occupati a distribuire “i cartelli di disfida e risposta” (autentici striscioni ante litteram ove si dileggiava l’avversario), il Capitano del Popolo poteva interrompere il gioco quando lo riteneva opportuno. Ma nemmeno una regolamentazione riesce a calmare gli animi senesi nei giochi se per il Carnevale del 1726 la Balia si trova a dover dirimere il “noto e pubblico accidente occorso in alcuni cavalieri alla Costarella in congiuntura del gioco delle Pugna di avere sfoderato le spade contro altri cavalieri che erano nell’azzardo delle Pugna”.
Maura Martellucci
Roberto Cresti