15 settembre 1974: lo scempio delle vittime, il macabro disegno compiuto dall’assassino in una notte che oggi cerchiamo di ricostruire con la nostra lettura. Anche dove la vegetazione ha modificato il luogo del delitto e da lontano, un palo della luce sembra una croce imponente su una morte violenta.
Non si sa mai davvero dove ti può portare un viaggio, dicevamo all’inizio della storia e oggi, andando avanti, lo pensiamo ancora di più. Perché l’idea che ci si può fare prendendo in esame l’enorme mole di documenti su queste vicende di cronaca è capace di raccontarti tutto e poi tutto l’esatto opposto, in un intrigo di moventi e profili e territorialità che cambia in base al soggetto preso in esame. Ecco perché, ancora una volta, lasciamo ai lettori da un lato la ricostruzione esatta del delitto ma, tra le righe e nelle riflessioni finali, si potrà trovare lo spunto alle riflessioni che noi per primi facciamo. Riflessioni che a noi, alla fine, hanno portato qualche risposta. Non sarà quella giusta, magari, non sarà quella definitiva. O forse, chissà. Dentro a quella che è una ‘storia di potere’ ci sono ancora colpi inesplosi. Niente è come sembra, niente è sepolto, niente è passato. Nemmeno dove la natura ricopre la violenza e il sangue. Nemmeno se i rovi carichi di more cercano di trasformare questo lavoro in una passeggiata in campagna di una domenica di fine agosto. La morte è lì, presente, non c’è pace dove non c’è giustizia.
Lasciamo il racconto su Villacidro in Sardegna dopo essere stati a Signa, percorriamo 50 chilometri verso nord e arriviamo a Borgo San Lorenzo. Ci troviamo nel cuore del Mugello per continuare il nostro racconto fermo al 1974. Non sono ancora le otto di una domenica mattina come tante altre; il contadino Pietro Landi si sta dirigendo verso la propria vigna coltivata in località Rabatta e, senza neppure avvicinarsi, capisce che all’interno ed intorno ad una fiat 127, ferma in mezzo ad un campo, è successo qualcosa di agghiacciante. Il corpo privo di vita di un ragazzo si trova al posto di guida, indossa solamente mutande e calzini. E’ stato colpito da cinque proiettili mortali e da un’arma bianca che gli ha creato profonde ferite all’emitorace. Il corpo completamente nudo di una ragazza, invece, giace supino a terra dietro l’auto. Ha braccia e gambe divaricate ed un tralcio di vite inserito nella vagina; è stata raggiunta da tre proiettili non mortali e da 96 fendenti con arma bianca su tutto il corpo, di cui pochissimi mortali, molti altri superficiali, distribuiti come un macabro disegno nella parte pubica e sotto i due seni. E’ domenica 15 settembre 1974. L’auto ha lo sportello anteriore sinistro bloccato con la sicura e quello destro aperto. Il finestrino anteriore sinistro frantumato e oggetti personali dei due giovani sparsi intorno all’auto. La borsa della ragazza verrà rinvenuta solo a tardo pomeriggio in mezzo ad un campo di granturco ad alcune centinaia di metri dal luogo del delitto.
Stefania Pettini di Vicchio, aveva diciotto anni e lavorava come impiegata presso la ditta Magif nella zona di Novoli, Pasquale Gentilcore viveva vicino Pontassieve, aveva diciannove anni e lavorava presso il bar della Fondiaria Assicurazioni in Piazza della Libertà a Firenze. Quando i rispettivi genitori si presentano alla stazione dei carabinieri per presentare denuncia di scomparsa dei rispettivi ragazzi, i corpi sono già stati trovati, privi di vita, massacrati da otto proiettili marca winchester con lettera H sul fondello esplosi da una Beretta calibro 22 l.r. e da numerosi colpi di arma bianca: “ferite sui cadaveri inferte da arma bianca taglientissima, adoperata con estrema precisione, capacità, manualità”, come riferirà il Prof Maurri che effettuò la perizia.
Torniamo alla serata precedente e cerchiamo di ricostruire l’accaduto. E’ sabato 14 settembre 1974 quando Stefania e Pasquale si incontrano per passare la serata insieme. Accompagnata la sorella alla discoteca Teen Club di Borgo San Lorenzo, Pasquale passa a prendere Stefania. Sono da poco passate le 21 quando i due ragazzi si dirigono verso Sagginale e si fermano con l’auto in località Fontanine di Rabatta. L’assassino entra in azione mentre Stefania è supina sul sedile anteriore destro ribaltato; sopra di lei Pasquale. Con ogni probabilità improvvisamente la portiera si apre ed una beretta Calibro 22 comincia a sparare sul corpo del Gentilcore che ruota verso il sedile anteriore destro dove troverà la morte. Stefania viene colpita, ma non mortalmente, da altri tre proiettili marca Winchester con lettera H impressa sul fondello. I colpi probabilmente sono esauriti e quindi la povera ragazza viene finita con numerosi fendenti mentre ancora si trova nell’abitacolo dell’auto. Ormai esanime viene trascinata fuori dalla Fiat 127 e trascinata per i piedi sul retro. Qui l’inquietante rituale del tralcio di vite all’interno della vagina e le decine di piccolissimi colpi di arma bianca come a realizzare sul corpo un macabro disegno.
A mezzanotte era stato fissato l’appuntamento per il rientro a casa insieme alla sorella, ma Pasquale non passerà mai a riprendere Maria Cristina di fronte al Teen Club. Alle due la ragazza chiede ad un amico di Pasquale di farsi accompagnare a casa e da quel momento scattano le ricerche dei due ragazzi. Ricerche che si concluderanno intorno alle otto del 15 settembre.
Nei giorni seguenti il delitto gli inquirenti ascoltarono diverse persone a partire dalla testimonianza di una donna che avrebbe visto l’auto del Gentilcore attraversare il passaggio a livello in località Pesciola intorno alle 21:15 e che l’auto non era seguita da nessun altro mezzo; venne fuori, da parte di conoscenti di Stefania, che la stessa lamentava di essere stata importunata nei giorni precedenti da un uomo di circa 35/40 anni che l’aveva seguita dalla stazione SMN fino a Novoli dove lei lavorava. Poi alcuni avvistamenti: un‘auto non chiaramente riconosciuta per casa di produzione senza nessuno a bordo, ma con la luce interna accesa, a qualche decina di metri dal luogo del delitto, un’altra auto di colore scuro sempre nei pressi di Rabatta e poi le segnalazioni anonime: si cerca un “giovane sardo” che a bordo della sua Fiat 127 avrebbe importunato altre coppiette nel periodo precedente al delitto. Non sappiamo se il giovane sardo in realtà fosse Guido Giovannini, non originario della Sardegna, ma di Cosenza che, per il suo vizietto di spiare le giovani coppiette, gli fu perquisita la casa, condotto in caserma, ma rilasciato perché considerato estraneo ai fatti. Il secondo indagato fu Bruno Mocali, guaritore di Scarperia, a cui Pasquale si era rivolto per problemi legati al fegato. Anche lui uscì indenne dalla lista dei sospetti. Il terzo fu Giuseppe Francini che si auto accusò autore del delitto, ma l’aspetto mitomane venne immediatamente a galla e fu quindi rilasciato. Le indagini andarono avanti, ma nulla saltò all’occhio degli investigatori. Il caso, dimenticato anche dagli organi di informazione, passò per l’opinione pubblica come il gesto isolato di un folle o forse come la reazione di un maniaco che si era invaghito di Stefania e che a lei guardava come oggetto di un desiderio impossibile. Non è trascurabile questa seconda ipotesi, Stefania stessa aveva raccontato alle amiche di approcci fastidiosi da parte di uno sconosciuto. Uno sconosciuto che per reprimere le proprie pulsioni, ha bisogno di una dipendenza affettiva, ha bisogno di un finto porto sicuro.
Nel 1968 Barbara Locci poteva rappresentare un’ancora che si può sostituire quando la prima viene meno. E così via, come modus vivendi, l’atto criminale sostituisce momentaneamente la carenza e dipendenza affettiva, di una moglie che abbandona momentaneamente il tetto coniugale, di un’amante che muore, di una mamma che non c’è mai stata. Stefania probabilmente viene vista, in un comune tragitto che conduce verso la stessa zona di Firenze, forse di Stefania ci si innamora, non importa che sia o meno reale. Si sogna che un giorno Stefania si possa accorgere di lui e l’abbandono arriva quando si scopre che la ragazza del cuore fa l’amore con un altro ragazzo. Stefania non viene mutilata, Stefania viene barbaramente uccisa da un folle che su di lei disegna un percorso, lo fa con la punta di una lama, lo fa per una novantina di volte, fino a possederla con un tralcio di vite. Il duplice omicidio del 1974 resterebbe di fatto non tanto l’esempio, a cui è riferibile il 1968, ma l’applicazione di esso ad una follia omicida che diventerà seriale, poi, a partire dal 1981.
Tornando con i piedi per terra, una grande domanda rimane però in sospeso: possibile che nessuno si sia ricordato di quell’episodio avvenuto sei anni prima, a soli 50 chilometri di distanza, sempre con una coppia in auto, sempre con la stessa pistola e gli stessi proiettili, sempre nello stesso contesto? Di Castelletti di Signa non si ricordò nessuno, neppure il colonnello Zuntini, che, sia per la vicenda di Signa che per quella di Borgo San Lorenzo, era stato chiamato come consulente ed in entrambi i casi redasse la perizia balistica a seguito dei due duplici delitti.
Siamo nel 1974, quattro persone sono state uccise, un uomo è ingiustamente, da solo, in carcere, nessuno collega i delitti del 1968 e del 1974: anche in questo caso, forse, se le indagini avessero portato a Castelletti di Signa, la scontata scarcerazione di Stefano Mele o comunque una revisione rispetto alla sentenza che lo vedeva condannato a 14 anni di carcere, avrebbe potuto riaprire il caso e bloccare quella mano omicida che invece colpirà ben altre dodici vite. Non è andata così, siamo nel 1974 e ancora il mostro di Firenze non esiste! E’ il momento di risalire in auto e tornare verso Firenze, a Mosciano di Scandicci per la precisione dove, nel prossimo articolo, continuerà il nostro viaggio nel tempo tra le colline fiorentine.
Andrea Ceccherini
Katiuscia Vaselli
(e con la fondamentale collaborazione di Monica Perozzi)
P.s. nelle primavera del 1974, Salvatore Vinci residente a Firenze sporge denuncia contro suo figlio Antonio, quindicenne, per violazione di domicilio e furto con scasso. Dai verbali risulta che Salvatore non fu in grado di dire se dall’abitazione fossero stati trafugati beni o oggetti e quindi rimase solamente la violazione di domicilio. Questo atto porterà Salvatore ed il figlio, avuto insieme a Barbarina Steri a Villacidro, ad una definitiva separazione. Borgo San Lorenzo sarà inoltre teatro di un particolare episodio legato a Francesco Vinci: all’inizio de 1974 accolse in casa (che condivideva con sua moglie ed i figli) una ragazza che viveva a Borgo San Lorenzo, conosciuta, probabilmente durante una frequentazione dello stesso Vinci nel paese del Mugello, per motivi lavorativi e di cui era diventato amante. A seguito di un obbligo di residenza alla Ginestra, impostogli per una precedente condanna per furto, Francesco fu incarcerato e rimase agli arresti fino al 9 settembre dello stesso anno per essersi trasferito senza comunicazione a Montelupo. Scontata la pena, al suo ritorno a casa, non trovò più la ragazza/amante.
In preda ad un moto di rabbia si recò a Borgo San Lorenzo con l’obbiettivo di riprendersi la ragazza; non trovandola non potè far altro che minacciare pesantemente la madre e la stessa amante qualora l’avesse rintracciata.
Con questo racconto non ci avventureremo in campi non di nostra competenza ma cercheremo di far rivivere questa vicenda partendo proprio da chi l’ha già con serietà studiata e facendovi fare ciò che noi abbiamo già fatto: un viaggio nel tempo attraverso città, paesi, colline, strade di campagna, testimoni del più grande caso di cronaca nera italiana. Qualora notaste errori o imperfezioni o vi sentiste in qualsiasi modo in dovere di intervenire, noi siamo qua, pronti a darvi voce.
Le nostre fonti bibliografiche:
Storia delle merende infami, Nino Filastò
Dolci Colline di Sangue, Mario Spezi, Douglas Preston
Mostro di Firenze – Al di là di ogni ragionevole dubbio, Paolo Cochi, Michele Bruno, Francesco Cappelletti
insufficienzadiprove.blogspot