La mattina del 17 ottobre 1890, intorno alle 11, scoppia un incendio sui tetti del duomo mentre si stanno svolgendo alcuni lavori di manutenzione alla copertura fatta in legno e piombo.
Probabilmente il vento stacca il recipiente in cui gli operai tengono il fuoco e una scintilla, caduta nel “graticolato di legno sottostante”, crea un “incendio furibondo”. In breve tempo l’armatura della cupola viene distrutta dalle fiamme, e così parte della copertura della navata centrale, riducendo in cenere le parti in legno e fondendo completamente le lamine in piombo “tanto che nel momento dell’incendio il superbo monumento presentava uno spettacolo imponente e terribile di fiamme e fumo che si alzavano in vortici spaventosi, minacciando le fabbriche più prossime, di travi crollanti e di piombo liquefatto fluente giù per le curve delle volte, alla cui solida costruzione soltanto si deve se non ebbero a lamentare ulteriori danni e rovine al monumento”.
Alle 4 del pomeriggio l’incendio è domato. Il racconto dell’episodio è tratto dalla relazione che l’allora Rettore dell’Opera, Carlo Periccioli, stila nel luglio del 1891 per presentare alla Commissione Conservatrice di Belle Arti il progetto di restauro elaborato dall’architetto Giuseppe Partini. Il progetto viene approvato e nel 1895 i lavori di ristrutturazione sono conclusi, anche se Partini morirà in questo anno e al suo posto li porterà a conclusione, con la carica di Architetto dell’Opera del duomo, ad Agenore Socini.
Con il progetto di Partini la cattedrale assume la configurazione attuale. Da una foto Alinari del 1855 si vedono chiaramente le differenze: la cupola e la navata, prima della distruzione, avevano in parte una forma e una dimensione diversa (la cupola era anche più “schiacciata”) e si distingue, al centro della copertura, un camminamento. Partini, progettando la copertura del tetto e la cupola prova ad eliminare le cause che hanno generato l’incendio: la struttura in legno e l’utilizzo del piombo saldato a fuoco.
Viene scelta una soluzione in laterizio che non utilizza le capriate in legno e semplifica il disegno della navata centrale eliminando il camminamento, la sopraelevazione e riducendo la copertura a solo due falde. L’architetto crea, poi una copertura senza saldature in piombo ma fissata ad una serie di profili di ferro fatti a “T”, disposti longitudinalmente alla pendenza e sul colmo e a sua volta fissati sul sottofondo di calce e laterizio.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti