Il 19 settembre 1590 l’inquisitore di Siena si vide presentare una denuncia per stregoneria contro Camilla di Bino, ricoglitrice (cioè levatrice) di Montalcino.
Era una donna in età avanzata; nessuno, nemmeno lei, conosceva la sua vera età, ma si giudicò che avesse cinquanta o sessant’anni. Da diverso tempo esercitava a Montalcino il mestiere della ricoglitrice: professione femminile per definizione, si basava esclusivamente sull’esperienza. Era praticata da donne di una certa età, che avevano avuto molti figli e avevano imparato a cavarsela nelle difficoltà della gestazione e del parto, nonché nelle fatiche dell’allevamento.
Camilla aveva avuto sei figli nei primi anni del suo matrimonio. Poi era rimasta vedova. Il marito le era morto mentre erano in corso la guerra di Siena e la lunga resistenza di Montalcino alla conquista dell’esercito imperiale per conto di Cosimo I. Tempi di guerra e di carestia: i più duri per una vedova con sei figli.
Camilla li rievocò davanti al giudice: erano stati momenti durissimi, “non havendo io pane et ritrovandomi vedova nel tempo che si perse Foiano nel tempo della guerra di Siena et trovandomi sei figliuolini et trovandomi senza pane et così povera che non havevo da poter sotterrar il mio marito che mi fu sotterrato per l’amor di Dio, et trovandomi disperata”. La disperazione la spinse a un passo estremo. Non per niente i teologi definivano la disperazione come il peccato contro lo Spirito, l’unico peccato imperdonabile nella religione del perdono. Trovandomi disperata mi detti al diavolo dicendo: Diavolo, vieni per me che mi ti dò et dono in carne et in ossa, in spirito et ogni cosa”. Col demonio, che sarebbe comparso “in forma di huomo vestito di nero”, Camilla disse di aver stretto un patto.
Questa era la parte della storia che stava a cuore a chi allora ascoltava la donna e la interrogava non sulla sua miseria e disperazione ma proprio sulle entità diaboliche, sulle apparizioni, sui poteri magici. Camilla era stata arrestata sotto l’accusa di aver procurato malattie e morte. Gli accusatori avevano raccontato di neonati che erano stati toccati da lei e poi erano morti. Episodi di vita quotidiana: Camilla si aggirava per le vie del paese, entrava nelle case; c’erano bambini in fasce che piangevano. Camilla se ne occupava, li sfasciava, li toccava.
Episodi frequenti; lei era la recoglitrice e a lei spettava la cura di quella fase difficile della vita che si avviava, che spesso si interrompeva. Sul suo conto si diffusero racconti paurosi: c’era chi era stato toccato su una spalla e poi era stato preso da dolori violenti e improvvisi. Forse quel suo tocco, che accoglieva i neonati e dava loro la vita, era capace di dare anche la morte.
Le accuse arrivarono all’inquisitore di Siena: il tribunale non aveva molto da fare, dopo la lunga caccia agli eretici durata fino a tutti gli anni Settanta del XVI secolo. Ora poteva tornare a occuparsi delle streghe, materia antica solo momentaneamente accantonata. Negli anni dello scontro con la Riforma e con l’eresia dottrinale, il supremo inquisitore fra Michele Ghislieri l’aveva detto: ci sarà tempo poi per loro. Ora il tempo era venuto. Camilla fu arrestata, interrogata, torturata. Furono torture lunghe, durissime: strappi di corda, lunghi anche mezz’ora; la terribile stanghetta [morsa di ferro o di legno con cui venivano schiacciati le caviglie o i piedi, n.d.r.]
I dubbi che i giureconsulti avevano da tempo meticolosamente raccolto sull’uso della tortura e sugli indizi probanti necessari per passare a quella fase del processo non pesavano molto nella pratica; la stregoneria, come già l’eresia, era un delitto di apostasia dalla vera fede, un crimine di lesa maestà divina e umana; nei suoi confronti, non valevano le regole normali, era un crimen exceptum [un crimine speciale, eccezionale, che giustificava procedure irregolari e violazione delle norme ordinarie, n.d.r.]. Nemmeno pesarono, a Siena, i dubbi che sulla stregoneria si stavano facendo strada a Roma, tra i membri del Sant’Uffizio.
Molti storici hanno sostenuto con buoni argomenti che l’Inquisizione fu mite in Italia e in Spagna in materia di stregoneria. Camilla non conobbe nessuna mitezza. Fu torturata a più riprese; si voleva da lei la confessione. E Camilla confessò: raccontò di essersi data al demonio, di averne ricevuto poteri di morte, di averli usati. Ma la sua verità non sembrava all’inquisitore tutta la verità. […] Bisognava dunque tenerla in prigione; e in prigione Camilla morì, il 15 agosto di quell’anno: forse “di sua morte naturale”, anche se ben poco di naturale c’era stato nel trattamento che le era stato inflitto. Tanto bastò, comunque, per dichiarare “terminata, et finita la sua causa”.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti