Il 26 giugno 1787, con un ormai noto decreto per le conseguenze che ebbe sulla città e sul suo tessuto urbano oltre che sociale, il granduca Pietro Leopoldo ordina la soppressione di molte corporazioni ed istituzioni ecclesiastiche tra cui il convento di Santa Caterina al Paradiso.
Nato nella seconda su Poggio Malavolti su iniziativa di alcune terziarie domenicane sull’onda della predicazione di Simone d’Angiolo e guidate dalla priora Caterina Piccolomini vedova Guglielmi, esse si trasferirono in un palazzo di proprietà della famiglia Malavolti da quel momento destinato a “collegio di donne ritirate dal mondo” detto “Casa Paradiso”.
Il collegio ebbe vita breve per mancanza di fondi ma le suore guidate da Caterina Lenzi, alla fine del Quattrocento, eressero addirittura un complesso religioso più ampio che si estendeva verso Camporegio. Alla fine del Cinquecento le religiose del Paradiso sentirono la necessità di costruirne una chiesa che si affacciasse all’esterno verso i senesi e verso i fedeli (fino a quel momento si trovava all’interno del convento) e sotto il priorato di suor Caterina Sansedoni, nel 1623, cominciarono i lavori.
Saputo del decreto di soppressione del convento del Paradiso la Contrada del Drago, da quasi 50 anni priva di una sede, supplicò allora il granduca di concedergli la chiesa per “destinarla ad oratorio”. Così il 29 ottobre dello stesso 1787, nel momento in cui gli edifici vennero evacuati completamente, la chiesa con tutti i suoi arredi venne affidata al Drago mentre il vasto fabbricato del convento passò in mano a privati. La scala di accesso dell’oratorio del Drago testimonia la diversa altezza del terreno su si estendeva l’antico prato antistante. Il “Poggio Malavolti”, poi piazza Pianigiani, prima dell’odierna denominazione di piazza Matteotti, fu più volte sbassato e la sistemazione attuale risale al 1903.
Racconta Massimo Biliorsi che, dopo la soppressione leopoldina, comunque, i locali di via del Paradiso e di Piazza Matteotti hanno mantenuto parte dell’originaria struttura del convento, portandosi dietro anche storie che interessano il mondo dell’occulto o, se vogliamo, stratificando leggende che hanno una valenza antropologica e sociale di particolare fascino. Si narra, infatti, che questi locali non siano stati abbandonati del tutto dalle sue abitatrici: soprattutto una suora, di nome Monica, aleggi ancora tra le varie sale portandosi dietro storie e inquietanti episodi, come una bandiera che si arrotola e srotola al passaggio del suo spirito. Già dal secondo dopoguerra c’era chi affermava di non voler raccontare quello che aveva visto e sentito, altrimenti nessuno avrebbe avuto più il coraggio di entrare la notte da solo in Camporegio.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti