Era un giovedí sera, il 26 ottobre 1318, quando scoppia una rivolta contro il Governo dei Nove. I congiurati sono “carnaioli”, ma anche notai e magistrati con esponenti di nobili casati, Tolomei e Forteguerri in testa, si armarono “di coraze e cappelli d’acciaio e altre armi da battaglia”, arnesi da lavoro e mannaie. I primi ribelli arrivano nel Campo da via del Casato gridando: “rompiamo le catene e rompiamo la porta del palazo de’ Nove e le loro case e buttighe di certi ricchi”. In tutto, erano piú di trecento uomini: Cione di Vitaluccio era alla guida dei carnaioli insorti, mentre a capo dei ribelli in piazza c’era Gabriello di Speranza Forteguerri.
I Nove però non si fecero certo trovare impreparati e avevano già provveduto alla difesa del palazzo comunale con 20 balestrieri appostati alle finestre, oltre a 350 mercenari, fiancheggiati da 93 dei 100 birri del Comune. Cosí, quando i congiurati sono alla bocca del Casato, si trovarono di fronte gli armati schierati dai Nove, pronti a respingere l’attacco. Comincia la battaglia. La campana del Comune dà l’allarme e molti accorsero nel Campo a dar man forte agli insorti o a difendere il governo.
Mancarono, però, i magnati a cavallo che, da piazza San Cristoforo, proprio di fronte al palazzo della potente consorteria, avrebbero dovuto sferrare l’attacco alle milizie comunali.
Qualcosa non andò secondo i piani.
Cosí, le forze governative presero vigore grazie anche all’aiuto dei nobili senesi ai quali, dice il Tommasi, “la mutazione di stato non piaceva”. I casati, sempre divisi da invidie e gelosie, diedero prova di preferire ancora una volta l’esclusione paritaria dal governo piuttosto che correre il rischio di lasciar prevalere una famiglia sulle altre. I Tolomei erano troppo potenti per non suscitare la diffidenza degli altri casati e cosí la cavalleria si trovò in trappola: i magnati ribelli erano stati isolati e, a quel punto, un loro intervento negli scontri avrebbe portato a una sconfitta quasi certa e, conseguentemente, al suicidio politico.
I congiurati rimasero da soli a combattere nel Campo, forti ormai solo del seguito che seppero suscitare. Senza la cavalleria dei nobili la rotta fu inevitabile. Quattro carnaioli furono catturati e condotti dinanzi al podestà, mentre, complice la notte, i ribelli superstiti si disperdevano velocemente per le strette vie cittadine. A piazza San Cristoforo i magnati furono avvertiti della sconfitta e degli arresti. Paventando ormai le accuse che sarebbero piovute su di loro una volta che i carnaioli avessero confessato, fuggirono dalla città. La congiura era fallita.
Roberto Cresti
Maura Martellucci
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