Il 27 agosto 1912, a Selci Sabino, in provincia di Rieti nasce Amaranto Urbani, detto Boccaccia, anche se per i senesi sarà sempre e solo Amaranto.
Il Gentili di lui disse: “A cavallo è er mejo de tutti, ma er Palio è n’antra cosa…”. Boccaccia, infatti, è forse uno dei fantini più sfortunati della storia del Palio. Debutta, ventenne, nel 1932 nella Giraffa, ma negli anni, pur essendo dotato di tecnica sopraffina, cosa riconosciuta anche dai colleghi più blasonati, Amaranto inizia a soffrire di un male che segnerà tutta la sua carriera: soffre la Piazza, nell’Entrone si spegne gradualmente ed arriva tra i canapi terrorizzato dalla paura di vincere e dalla prospettiva di un ennesimo fallimento.
A questo si unisce l’essere fuori da ogni logica di potere dei fantini “da Palio”: Amaranto non si sente un gregario e non farà mai parte della logica del mercenario (oggi si dice “professionista”) che è l’essenza stessa dell’essere fantino di piazza. E questi sono i motivi per cui, con una grande parte anche di sfortuna, non arrivò primo al bandierino in nessuna delle ventiquattro Carriere disputate.
Due esempi sono significativi delle molte sventurate vicende che lo vedono protagonista. Alla ripresa del Palio dopo la guerra Amaranto è uno dei protagonisti del celebre Palio della Pace. Per ben due volte con il Giubbini della Tartuca, su Eris, Amaranto esce nettamente primo dai canapi lasciando fermo il Bruco, dato per sicuro vincitore ed al centro di mille intrighi (“aveva comprato anche i colonnini di Piazza”) ma per due volte il mossiere Lorenzo Pini annulla la mossa scatenando l’ira dei tartuchini che, capeggiati da un giovanissimo Silvio Gigli, ritirano dalla carriera il proprio cavallo, fatto senza precedenti nella storia del Palio moderno.
La Carriera del 1946 è nuovamente tragica: monta nell’Oca con Folco. Dalla mossa Amaranto, nonostante la vicinanza della Torre, esce con un vantaggio notevole, con il Montone, maggiore antagonista dell’Oca, completamente fermo tra i canapi, ma, all’improvviso, con un ritardo clamoroso, la corsa dell’Oca viene fermata dal ripetuto scoppio del mortaretto.
Ancora il Mossiere Pini ed il mortalettaio Ragno, appassionato montanaiolo, impediscono, di nuovo, la volata di Amaranto verso la tanto agognata gloria. Amaranto muore a soli quarantaquattro anni sognando di vincere un Palio e questo è stato, probabilmente, il suo più grande rimpianto.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti