Il 29 luglio 1568, un venerdì, si insedia la nuova magistratura deputata a governare il Monte di Pietà di Siena. E’ l’avvio ufficiale di quello che viene definito il “Secondo Monte“, dopo le gravi difficoltà finanziarie seguite alla caduta della Repubblica e che avevano visto andare in crisi l’istituto laico di prestito su pegno fondato nel 1472 per iniziativa del Comune di Siena.
Ai magistrati era stato affidato il non facile compito di portare a compimento un’opera la cui urgenza era emersa chiaramente fin dall’anno precedente, quando, il 29 ottobre 1568, era stata costituita una commissione istruttoria che affrontasse i punti più delicati, di concerto con il duca Cosimo I.
In maniera particolare, il tasto più dolente risultava essere quello della scarsa liquidità che impediva il funzionamento del Monte Pio e lasciava di fatto mano libera al prestito ebraico, regolato da una “condotta” (come si chiamava all’epoca l’accordo con i banchieri ebrei) che doveva protrarsi fino al 1573.
Fra le soluzioni adottate, c’era stata quella di incentivare il deposito di somme di denaro da parte dei privati, una pratica che faceva del Monte Pio l’equivalente di una banca, dietro corresponsione di un tasso di interesse del 5% con possibilità di rimborso dell’intero capitale versato, in qualsiasi momento il depositante lo avesse chiesto indietro.
Il “Secondo Monte” continuò ad esercitare nella stessa sede in cui era stato ospitato il primo, cioè in un’ala del complesso del castellare Salimbeni, nella cosiddetta “casa della dogana” dalla quale fu sfrattata monna Degna vedova di Salimbene Salimbeni. Il 1° agosto avvenne l’inizio ufficiale delle attività dell’istituto riformato, con una solenne cerimonia durante la quale, con gesto di indubbia efficacia comunicativa, il governatore di Siena, Federigo Barbolani di Montauto, depositò una collana per un controvalore di 25 lire, subito devolute come mancia ai musici presenti.
Il primo vero depositante fu, però, un profumiere, tal Olivieri, che la settimana successiva depositò 300 lire. Nel corso della seconda adunanza di quella che potremmo chiamare la “nuova deputazione” fu deliberato di affidare ad un discepolo del Sodoma, Lorenzo Rustici, l’immagine di un Cristo risorto; una scelta tematica che probabilmente voleva alludere alla resurrezione dell’istituto pio senese. Il nuovo corso della storia del Monte di Pietà, tuttavia, non evitò di scontrarsi con difficoltà notevoli, tanto che, appena qualche mese dopo l’inaugurazione, i magistrati del Monte si trovarono nella impossibilità di erogare prestiti, per mancanza di liquidità disponibile.
Era fallita la cosa più importante – ammettevano essi stessi – cioè la fiducia da parte dei cittadini, i quali, si legge in una loro lettera al sovrano, volevano vedere come si metteva la situazione generale prima affidare a qualcuno i loro soldi. Fosse pure il Monte Pio riformato e benedetto dal Cristo del Rustici.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti
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