Cultura

30 giugno 1908: nasce Fernando Leoni detto Ganascia

Il 30 giugno 1908 nasce a Monticello dell’Amiata Fernando Leoni. Fernando era figlio di Domenico Leoni, fantino, che corse in Piazza con il soprannome di Moro dal 1909 al 1924, vincendo due volte: nel 1910 nella Torre e nel 1919 nella Selva. Fernando segue dunque le orme paterne e per il Palio di agosto del 1930 il Moro lo presenta alla dirigenza della Torre, la quale, però, storce la bocca perché l’alta statura di Ferdinando (si raccontava che riuscisse a unire i piedi sotto il ventre del cavallo) lo fa giudicare inadatto. Moro, pertanto, prende contatti con la Tartuca, la quale smonta il fantino ingaggiato (Porcino) e monta Fernando, convinta che, tanto, con la cavalla che le toccata (Carnera: femmina, a onta del nome del pugile; in cattive condizioni; grassa; o gonfia, o, qualcuno dice, incinta) non potrà fare nulla.

Inizia così la storia di Ganascia (soprannome dovuto alla forma delle sue mascelle), in un Palio di storie rocambolesche, con la cavalla che soffriva di blocco intestinale; che Ganascia riuscì a sanare; che fu portata in Piazza per una prova extra la notte della vigilia del Palio; che disarcionò il Leoni e scappò e fu ritrovata ore e ore dopo, fuori porta Romana; che il giorno dopo vinse clamorosamente.

Ganascia vince ancora nel 1932, a luglio, con Gobba nell’Onda, dopo un furioso scambio di nerbate con la Chiocciola. L’anno successivo incorona Ganascia nuovo re della Piazza, con il cappotto della Tartuca fatto con lo stesso cavallo (Folco) da lui montato in entrambi i Palii e con un duello, a luglio e agosto, tutt’e due le volte con la Lupa.

Da lì al 1939 Ganascia non vincerà più, anche se non per questo sarà meno determinante nello svolgimento dei Palii e, diciamo pure, nella storia del Palio moderno. Nel 1936 si deve sostanzialmente a lui lo scoppio della rivalità fra Aquila e Pantera, fino ad allora alleate. Nel Palio d’agosto, infatti, Ganascia monta nell’Aquila e nella Pantera, che ha avuto in sorte il forte Ruello, monta Meloncino, figlio del Meloni con il quale Ganascia aveva scambiato duelli a nerbate all’inizio della carriera dell’amiatino, nel 1932.

Secondo i patti fra le due alleate, Ganascia dovrebbe aiutare la Pantera, ma l’odio fra i due fantini (qualcuno insinua che ci siano stati anche motivi sentimentali, ma questo probabilmente è solo gossip) esplode e Ganascia mette sotto nerbo Meloncino, facendolo cadere e facendo perdere il Palio alla Pantera. La conclusione è quella che ancora oggi conosciamo: l’insorgenza di una fiera rivalità fra le due contrade.

Nel 1938 è rottura con la Tartuca: in Castelvecchio lo accusano di aver lasciato vincere la Chiocciola e Ganascia se la vede brutta. L’anno dopo, a luglio, corre nella Lupa, ma a agosto la Torre gli affida Giacchino con il quale Ganascia rompe il digiuno di Salicotto che durava da quel Palio di settembre del 1910, vinto appunto dal padre di Ferdinando.

Dopo la guerra, Ganascia vince ancora nel Montone (1946 e 1950) e nella Torre (1946). Nel 1952 è protagonista di un fatto unico: il 16 agosto Ganascia sta assistendo al Palio nelle vesti di semplice spettatore, quando, al canape, cadono Aquila, Chiocciola e Bruco. Il fantino del Bruco, Boccaccia si infortuna. Fosse successo oggi, semplicemente il Bruco con avrebbe potuto correre. In quel 1952, invece, si deroga clamorosamente al regolamento: i brucaioli non vogliono saperne di non correre e le autorità (forse memori di quel che avevano combinato i contradaioli di Ovile nel Palio della Pace, il cui ricordo era ancora molto vivo) permettono che faccia una cosa incredibile: si fa scendere dalla Chiocciola Falchetto e si fa montare nel Bruco. Proprio Ganascia viene invitato a mettere, sugli abiti borghesi, il giubbetto della Chiocciola e a improvvisarsi fantino per San Marco. Il Palio verrà vinto dall’Oca. Ganascia correrà il suo ultimo Palio nel luglio del 1953 nel Leocorno, su Fontegiusta. Alla fine della sua carriera avrà corso in 15 contrade: mai in Civetta e in Pantera. Fernando Leoni morì nel suo paese d’origine il 22 settembre 1982.

di Maura Martellucci e Roberto Cresti

Imma Iodice

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