Domenica 16 ottobre 1611 viene consacrata e aperta ufficialmente al culto l’Insigne Collegiata in Santa Maria di Provenzano. L’Arcivescovo Camillo Borghesi, accompagnato dal Capitolo e da tutto il Clero della Chiesa Maggiore, celebra in Provenzano la prima messa (un’iscrizione posta sopra il portale maggiore della Collegiata tramanda, nei secoli, l’evento). I fatti che portano, in pochi decenni, alla venerazione di un’immagine mariana e alla costruzione dell’edifico sacro sono noti: tutto inizia alla metà del ‘500 in quello che, al tempo, è ritenuto uno dei rioni più malfamati di Siena, fatto di poveri, mendicanti, prostitute, per lo più. Una sera, dice la tradizione, un soldato, uscendo proprio da un postribolo, spara ad una delle molte immagini della Madonna che si trovano murate sulle facciate delle case e ne riporta una nemetica punizione nel momento in cui l’archibugio gli esplode in faccia. Un’altra tradizione dice che il soldato, dopo aver sparato, non morì ma si inginocchiò, pentito, convertendosi e diventando devoto alla Vergine. La narrazione del modo in cui si sono svolti i fatti è, logicamente, parte di un mito fondativo del culto. Non dimentichiamo che l’episodio viene tramandato fra il 1551 e il 1552, durante l’ultimo periodo della presenza a Siena della guarnigione inviata da Carlo V, che sarebbe stata cacciata dalla città a furor di popolo proprio nel 1552. Si racconta subito che il sacrilego è un soldato spagnolo (legando così indissolubilmente la storia della Collegiata con la storia di Siena) e il fatto che l’archibugio sia realmente scoppiato è, quanto meno, da mettere in dubbio perché i lavori di restauro effettuati al busto della Madonna di Provenzano (nel 2000) hanno evidenziato che un foro d’ingresso nella statua c’è e dunque, avendo sparato, non può essere esploso. Tuttavia, proprio questa constatazione ha determinato la veridicità dell’episodio che fece diventare immediatamente l’immagine mariana un’icona di culto e, quando cominciano a diffondersi le voci di miracoli da essa compiuti, quando decine e decine di persone iniziano ad arrivare da ogni luogo per invocare il suo aiuto e la sua benedizione, si rende necessaria la costruzione di un solenne santuario in suo onore.
Papa Clemente VIII, già nel 1594, aveva concesso l’autorizzazione a continuare la devozione dell’icona e questo apriva la strada alla creazione di una chiesa per ospitarvi all’interno l’immagine e i fedeli che volessero andare a renderle omaggio. Il 20 dicembre del 1594 la Congregazione Cardinalizia dei Sacri Riti, riunitasi a Roma, esaminando i registri nei quali vengono annotate le grazie (le grazie datate dal 1594 sono ancora annotate nei “registri dei miracoli” conservati nell’Archivio di Provenzano) decretò la libertà di innalzare in suo onore “una chiesa o una cappella” che dovrà essere (si precisa) decorosa. I Medici, che comprendono come questa edificazione possa diventare il tramite per farsi accettare dal popolo senese dopo la caduta della Repubblica (benchè Siena non sia loro sottomessa mal digeriscono, i senesi, la presenza di governatori medicei in città perché comunque sono parte di coloro che hanno decretato la fine della Repubblica) all’inizio dell’agosto del 1565 indicono un concorso (diremmo oggi) tra vari architetti e ingegneri di fama e tra i progetti proposti il granduca sceglie il modello elaborato dal monaco senese don Damiano Schifardini, matematico e precettore (guarda caso) dei figli del Granduca. Inizialmente le fondamenta dovevano sorgere, simbolicamente, dove, secoli prima, sorgeva il castellare di Provenzan Salvani, che ormai era ridotto ad un insieme di case addossate le une alle altre. La direzione dei lavori venne affidata da Ferdinando I allo scultore Flaminio Del Turco, che portò avanti la fabbrica per diciassette anni. Il 20 agosto vennero compiuti i primi scavi nei vicino alla casa dei miracoli che doveva essere inglobata dentro la chiesa stessa. Fu subito chiaro, però, che il terreno scelto non avrebbe retto una costruzione così maestosa e l’ubicazione venne spostata verso Piazza Tolomei, rinunciando, però, al poter includere la casa sulla quale si trovava la Madonna miracolosa. Il 24 ottobre, così, si dette inizio al secondo tentativo di edificazione e venne posta e benedetta la prima pietra da Padre Teio con i sacerdoti di San Giorgio. La prassi voleva, da sempre, che si ponessero oggetti e preghiere benaugurati alla base delle fondamenta di un nuovo edificio, sacro o civile che fosse. Flaminio Del Turco pose, perciò, in una buca profonda 24 braccia, in corrispondenza del pilastro delle fondamenta che guardava verso San Pietro a Ovile, una pietra di marmo bianco e sopra di essa vi collocò “alcune medaglie coll’impronta della Madonna di Provenzano e in cartapecora i nomi degli Operai (…), mischiato il tutto con carbone pesto per conservarle, maestro Flaminio vi pose 20 mezzi grossetti d’argento con l’impronta del Serenissimo Ferdinando I, e sopra tal pietra vi posero per chiuderla un’altra pietra (…), presero calcina e mattoni nuovi ed inginocchiatisi invocarono il nome santissimo di Dio e di Maria (..) dandovi sopra un colpo di martello per ciascheduno, (…) e poi i mattoni con calcina dandovi sopra due altri colpi di martello per ciascuno (…)”. I lavori di costruzione di questa maestosa chiesa (anche se occorreranno molti decenni affinché venga totalmente completata restando un “cantiere aperto”) giungono al tetto già nel 1602, ma a questo punto si pone il problema di quale forma dare alla cupola. Schifardini nel frattempo era morto e il Granduca, il 4 giugno, viene a Siena con il fratello Giovanni de’ Medici, esperto di architettura (era stato architetto della cappella medicea di San Lorenzo a Firenze: se si mettono a confronto i disegni le due cupole sono identiche). Giovanni suggerisce le modalità di innalzamento della cupola, che sarà costruita a calotta semplice, e anche gli espedienti tecnici per eseguirla oltre a proporre l’idea di aprire una piazza davanti alla facciata per darle risalto maggiore. I consigli vennero accolti immediatamente tanto che il 22 ottobre 1604 anche la parte strutturale della cupola (l’unica esistente a Siena davvero tale) risulta terminata.
Molto ci sarebbe da scrivere su questa chiesa che è nel cuore di ognuno di noi, si potrebbe dire che i Medici davvero non badarono a spese per renderla meravigliosa: si potrebbe dire che già nel 1614 venne istituito un Rettorato per completare i lavori mentre i pellegrini ormai provenivano da ogni parte d’Italia; si potrebbe dire che nel 1634 era già insignita del titolo di Collegiatata. Si potrebbe dire che essendo intitolata a Santa Maria della Visitazione (anche se da subito, per i senesi, è la chiesa della Madonna di Provenzano) dal 1644 si correrà un Palio alla tonda, in Piazza del Campo, in suo onore. Come che sia Provenzano sarà da subito il secondo polo marisno civico-religioso, insieme alla cattedrale. Ma nella nostra città il concetto di “Sena vetus civitas virginis” si può declinare in tanti modi, e proprio perché la Madonna, che è sì una, nella nostra città “si moltiplica”, Lei stessa, in tante alle quali ognuno, secondo la sua fede, devozione e il suo sentire si può rivolgere.
Maura Martellucci
Roberto Cresti