Il 6 marzo 1976, a Milano, muore Armando Sapori, uno dei più significativi studiosi di storia dell’economia che l’Italia abbia avuto nel Novecento. Era nato a Siena, il 1° luglio 1892, e senese si era sempre sentito fino in fondo (la sua casa di Milano è stata definita da qualcuno “un pezzo di Siena trapiantato in Lombardia”): senese e contradaiolo, perché la sua Oca, se l’era portata nel cuore sempre, qualunque fosse il luogo in cui la sua prestigiosa carriera lo aveva condotto (leggere qualche pagina dei suoi ricordi autobiografici contenuti in Mondo Finito è, da questo punto di vista, un tuffo nella sua giovinezza senese e nella contiguità con il coté popolano di Fontebranda).
Nella nostra città si era laureato, nel 1919, in Giurisprudenza (all’epoca se eri “a quadretti” facevi Medicina; se eri “a righe” facevi Legge), ma l’avvocato non l’aveva mai fatto. Impegnato nel giornalismo in gioventù, nel 1921 entra come archivista all’Archivio di Stato di Firenze per intraprendere, però, ben presto la strada che non avrebbe più abbandonato. I suoi studi (basati sulla messe di documenti di archivio che il suo mestiere gli metteva a disposizione) sui mercanti medievali e sull’economia mercantile e bancaria del Medioevo gli fruttano, infatti, il posto di docente all’Università (Ferrara, Firenze, Milano), anche se la sua rigorosa metodologia di ricerca gli fa correre grossi rischi durante il fascismo (a lui che antifascista lo era sempre stato senza tentennamenti fin dal primo momento). Quando infatti dimostra, carte alla mano, che il re d’Inghilterra “aveva pagato” (ve lo ricordate il film propagandistico di Giovacchino Forzano “Il re d’Inghilterra non paga”? quello che, ancora nel 1941, attribuiva – siamo all’inizio del Secondo Conflitto Mondiale – la responsabilità all’infido, perfido albionico Edoardo III del crack dei banchi dei Bardi e Peruzzi. Ecco: quello. Un voluto fake madornale!), Sapori rischia di brutto. Uno zelante parlamentare chiede al Ministro di destituirlo (lo sapevate che, all’epoca, l’Italia fascista voleva intentare causa alla Gran Bretagna per il fallimento Bardi e Peruzzi, con tanto di richiesta di risarcimento e interessi composti?) perché un funzionario patriottico non pubblica di questa robaccia anti-italiana e se si imbatte in documenti come quelli pubblicati dal senese ha l’obbligo morale di distruggerli (!).
Sapori, nel dopoguerra (non solo antifascista, ma ferocemente antisabaudo), accetta di presentarsi come indipendente nelle liste del Fronte Popolare e come senatore, fra il 1948 e il 1953, dà il suo contributo in favore del mondo della scuola, dell’istruzione e dell’università. Grande comunicatore, oltre a pubblicare lavori ponderosi nelle sedi scientifiche batte circoli, fabbriche, sedi popolari per portare la cultura a disposizione di chi non ha potuto studiare. E qui mette a frutto (basta leggere le sue conferenze e lezioni) l’esperienza maturata come giornalista. Ma la sua vita ormai è proiettata su Milano. Insegna alla Bocconi e, fra il 1952 e il 1967, diventa Rettore del prestigioso ateneo. E, comunque, Siena non la dimentica. Lui, che è in contatto con tutto il mondo dell’intellettualità della sua epoca; che parla alla pari di storia economica con i “mostri sacri” che in Francia hanno fondato Les Annales e rivoluzionato la storiografia, la sua città se la porta dentro. Quando nel 1967 gli conferiscono il Mangia d’Oro, scrive che, in vita sua, ha sempre snobbato i vari titoli, Senatore, Magnifico Rettore e via dicendo, ma nel suo biglietto da visita “Mangia d’Oro” ce l’avrebbe messo molto volentieri.
Alla sua morte la figlia Giuliana dona alla Biblioteca Comunale di Siena ( Biblioteca Siena) i libri e, soprattutto, l’immenso archivio di lettere e autografi, del padre. Un patrimonio che, in questi anni, grazie alla iniziativa di Stefano Moscadelli e dei suoi allievi sta uscendo fuori sotto forma di studi sull’immenso epistolario del grande storico dell’economia.
Maura Martellucci
Roberto Cresti