L’8 agosto 1713 gli Esecutori di Gabella, gli ufficiali incaricati di riscuotere le tasse dalle case di piacere (fin dal Medioevo, infatti, la prostituzione era un mestiere come un altro e pagavano regolari tasse al Comune), scrissero una relazione al Governatore di Siena in merito ad una richiesta inoltrata dalla Contrada della Torre che, disturbata e turbata dai molti postriboli che si trovavano ancora nelle sue strade, chiedeva che venisse chiuso lo sbocco del vicolo di Coda (che al tempo si chiamava più volgarmente Coda Rimessa).
Il principe Mattias de’ Medici, già il 30 novembre 1641, aveva emesso un’ordinanza in base alla quale le meretrici non potevano svolgere il loro mestiere in Via di Salicotto (ancora oggi si vedono le epigrafi che indicano, nella via, l’inizio e la fine di tale divieto) e dal 1680 le prostitute erano già state “confinate” nei vicoli di Coda e del Vannello ma, evidentemente, ciò non era sufficiente per gli abitanti del rione.
Tuttavia la Biccherna respinse la richiesta di chiudere il vicolo precisando che era “necessario anche per buon governo, che simili donne vi siano”, senza contare, si prosegue, che non si poteva chiudere una strada utile a tutti. La Torre, dunque, non fu accontentata e il postribolo rimase dov’era.
Il Vicolo di Coda lo troviamo già citato come “Coda Rimessa” o “Codarimessa” in un documento dell’ospedale di Santa Maria della Scala risalente agli anni Sessanta del ‘400. Bernardino Fantastici, nel XVIII secolo, spiega così il termine: “ A sinistra (di Via di Salicotto) trovasi il vicolo denominato di Coda Rimessa, così detto per essere destinato alle pubbliche meretrici”. Al toponimo fu tolta la seconda parte del nome nel 1871, in modo da renderlo meno volgare.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti