Chi si fosse messo al ciglio della Cassia, la mattina del 9 maggio 1938, avrebbe visto passare un ben curioso convoglio proveniente da Siena e in direzione di Firenze. Dentro quegli automezzi c’era, infatti, il Corteo Storico del Palio di Siena che (cavalli esclusi) se ne stava andando a rendere omaggio, nel capoluogo della regione, al Duce e a Hitler che stava visitando, in quei giorni, l’Italia. Era arrivato al Brennero il 3 maggio, l’illustre ospite, e lì manca poco c’era scappato subito l’incidente diplomatico, perché la popolazione altoatesina, che l’annessione all’Italia dopo la Prima Guerra Mondiale non l’aveva proprio mandata giù, aveva tributato al capo del nazismo un’accoglienza talmente clamorosa ed entusiasta che ci voleva poco a capire che cosa volesse dire: questa è terra di lingua tedesca e il nostro cuore batte con te! E infatti le autorità (Achille Starace per il Pnf e Ludovico di Savoia Genova in rappresentanza di Casa Reale) mandate ad accogliere Hitler lo capirono perfettamente e – anche se fecero buon viso a cattivo gioco – ci sformarono (come diremmo noi) non poco. La sera del 3 Hitler era a Roma; il 5 a Napoli, il 6 di nuovo a Roma dove, a fargli da cicerone fra le antichità dell’Urbe era stato chiamato Ranuccio Bianchi Bandinelli (Bandinelli, esponente comunista dopo la Liberazione, che, per competenza culturale e perfetta conoscenza del tedesco, era stato ingaggiato per la visita italiana di Hitler, come si evince dalle sue stesse memorie, vivrà non poche lacerazioni interiori decidendo – ma poteva rifiutare?- di accedere alla richiesta del regime: da leggere ” Dal diario di un borghese”).
Ultima tappa, Firenze, dove, a benefico dell’ospite, doveva essere illustrato, dopo la classicità romana, il fulgore del rinascimento italiano. E cosa meglio delle feste storiche toscane potevano dare il senso di un passato sempre rivissuto? Così, a Firenze, si mise in scena un Calcio in Costume, si convocarono i figuranti della Giostra del Saracino di Arezzo, e del Gioco del Ponte di Pisa. E quelli del Palio di Siena. La richiesta, quando arrivò in città, provocò reazioni contrastanti. Se a qualcuno, antifascista e antinazista, gli andò di traverso, fece bene a tenerselo per sé perché i biglietti per Ventotene, Brancaleone Calabro, San Nicola delle Tremiti, Ponza, Ustica, Pantelleria e altre ridenti stazioni balneari (si fa per dire, eh!) di confino per i dissidenti erano sempre disponibili. Non mancò chi chiese a gran voce che Hitler facesse una deviazione a Siena per essere omaggiato dalla città e qui godersi un Palio straordinario in suo onore (la voce in questione apparteneva a Silvio Gigli, all’epoca dirigente dell’Opera Nazionale Dopolavoro Fascista, su “La Nazione”), ma, ovviamente, la cosa era impossibile a realizzarsi. Tuttavia, mugugni ci furono, ma riguardarono altro che non l’aspetto politico: che diavolo ci combina di portare a Firenze il Corteo Storico del Palio di Siena? Già portarlo fuori città andava contro il rigido protocollo che la festa senese aveva ricevuto da chi l’aveva (non poi da tanto tempo prima) salvata dall’incialtronimento: Fabio Bargagli Petrucci e Guido Chigi Saracini. E poi a Firenze! Uno a cui la richiesta andò di traverso fu proprio il conte Chigi, Rettore del Magistrato delle Contrade, che zingarate di questo genere proprio non le mandava giù. Ma anche lui, di fronte al diktat delle autorità statali e del partito, poco poteva. Ottenne, questo sì, che la rappresentanza di Siena sfilasse e si esibisse da sola, senza la compagnia di quelle delle altre città, le cui feste (antiche e gloriose, sì, ma da poco rinate) il conte, com’è noto, le aveva come il fumo agli occhi.
Così il 9 maggio 1938 il Corteo Storico (perché tale fu, di fatto, la rappresentanza che andò a Firenze: tranne pochi dettagli fu una riproposizione vera e proprio della parata che precede il Palio) sfilò a Boboli. Accompagnato da consegne severe: guai a tenere atteggiamenti sguaiati; guai a non onorare con un comportamento consono la giornata; segnalati in Prefettura tutti i figuranti. Si va, si saluta, si rende il dovuto omaggio, ci si esibisce nelle sbandierate e si torna a casa difilato. Tutto andò per il meglio e il Führer ringraziò, in un italiano stentato e un po’ comico, il segretario comunale Ferdinando Giannelli che, debitamente in montura, gli fece dono del volume sul Palio con i (mediocri) testi di Piero Misciattelli e le (emozionanti: ancor oggi meravigliose) incisioni di Duilio Cambellotti. La cerimonia della visita fiorentina fu trasmessa, alla radio nazionale, da un radiocronista d’eccezione. Quello al quale si devono anche le prime radiocronache del Palio: Luigi Bonelli, che raccontò per filo e per segno l’itinerario di Hitler e del Duce (in una Firenze nella quale il cardinale aveva fatto chiudere l’arcivescovato e lo aveva ostentatamente lasciato senza alcun addobbo per protestare nei confronti della religiosità filo-paganeggiante del nazismo) e che illustrò ai radioascoltatori l’immagine della sede del Monte dei Paschi in via dei Pecori con la bandiere delle Contrade e i drappi rossi con la svastica. E con i braccialetti. E qui ci scappò l’incidente: i braccialetti senesi – celiò Bonelli – alimentati da buon olio senese, perché Siena, a Firenze, non ci compra nemmeno l’olio da lume. Apriti cielo, spalancati terra! Il fascismo aveva severamente messo al bando il campanilismo (retaggio inaccettabile di un’Italia pre-moderna) e questo se ne usciva con una battuta del genere. In città tutti risero, ma Luigi Socini Guelfi (futuro podestà) no: e ora che diranno a Roma? E immediatamente inviò una lettera di protesta all’EIAR (la mamma della RAI) per aver consentito al cronista una frase tanto inopportuna. All’Eiar non si scomposero. Nessuno s’era lamentato, risposero, e Bonelli aveva fatto un lavoro eccellente e da gran professionista.
Maura Martellucci
Roberto Cresti
Roberto Cresti