Domani si aprirà la Porta Santa a San Pietro, per il Giubileo della Misericordia voluto da Papa Francesco. Una vigilia blindata, a Roma: sono attese in piazza a San Pietro tra 50mila e 100mila persone e, per garantire la sicurezza, saranno impegnate 3.200 persone più dell’ordinario. E’ scattato il divieto di sorvolo sulla città domani (dalle 7 alle 19) e sulle principali basiliche e anche il trasporto di armi e carburanti. Non sarà neanche consentito l’uso di fuochi pirotecnici. Il prefetto di Roma, Franco Gabrielli ha disposto che dalle 6 di oggi e fino alle 18 di mercoledì 9 dicembre, sarà vietato il trasporto di armi, munizioni, esplosivi, sostanze esplodenti e gas tossici nel territorio di Roma compreso nel Grande Raccordo Anulare. Non saranno neanche consentite le riprese televisive e cinematografiche che “comportino l’utilizzo di armi ad uso scenico e di mezzi ed equipaggiamenti fac-simili a quelli in uso alle forze di polizia e alle forze armate”. Il Giubileo ai tempi dell’Isis e di questa nuova ondata di terrorismo, sembra ricercare davvero, più che mai, un po’ di misericordia. E mentre Roma attende il grande evento, noi abbiamo lavorato per i nostri lettori e vi regaliamo un’altra curiosità. L’epigrafe del Duomo di Siena: sul marmo il ricordo del primo Giubileo. Forse pochissimi sono a conoscenza dell’importanza che riveste il significato dell’iscrizione sopra la porta di destra della facciata del Duomo. E’ la testimonianza del primo giubileo della storia, quello indetto da Bonifacio VIII nel 1300, e la prova che già in quell’anno in ogni cattedrale del mondo si apriva la Porta santa. Un’iscrizione del genere non si trova nemmeno a Roma, perché le quattro basiliche (San Giovanni in Laterano, San Pietro in Vaticano, San Paolo fuori le mura, Santa Maria Maggiore) sono state rifatte tutte dopo il 1300.
Il 22 febbraio 1300, con la bolla “Antiquorum habet fida relatio”, papa Bonifacio VIII indice il primo giubileo della Chiesa Cattolica.
L’anno 1300, dunque, diventa il primo Anno Santo, anche se in verità la bolla stessa ne indica l’inizio al giorno di Natale del 1299. Nel corso di quell’anno tutti i cittadini romani che fossero entrati nelle basiliche di San Pietro o San Paolo almeno una volta al giorno per 30 giorni, non necessariamente consecutivi, avrebbero ottenuto l’indulgenza plenaria. I pellegrini che vengono da fuori, invece, per riceverla dovranno accedervi per la metà del tempo: 15 giorni.
Se tutto ciò è abbastanza noto, forse meno conosciuta è una curiosità “senese” legata a quel grandioso evento che attira a Roma una moltitudine incredibile di pellegrini: Giovanni Villani parla di 200.000, il cronista Guglielmo Ventura da Asti, addirittura, di due milioni di forestieri nel corso dell’anno.
Nell’ultimo ventennio del XIII secolo l’Opera del Duomo di Siena ha commissionato a Giovanni Pisano la realizzazione di una nuova facciata della cattedrale dato che, rispetto all’edificio romanico, la navata è stata prolungata di qualche metro verso l’ospedale di Santa Maria della Scala, lavori che furono effettuati tra il 1280 e il 1284. Questo prolungamento, ovviamente, comporta il sacrificio della vecchia facciata, più arretrata dell’attuale e, forse, preceduta da un portico, che viene abbattuta in quegli stessi anni: nel maggio del 1284, infatti, con una cerimonia solenne, viene posata la prima pietra della nuova.
Giovanni Pisano, nominato capomastro dell’Opera, lavora con continuità fino al 1297 realizzando la zona inferiore della facciata con i tre portali e le torri angolari. Quell’anno, però, scoppia uno “scandalo” di larghe proporzioni che riguarda una gestione quantomeno discutibile del cantiere. Giovanni non è accusato direttamente, ma appare evidente che il suo ruolo di capomastro lo costringe a dimettersi (o addirittura a fuggire, come asserito da qualche studioso), lasciando la realizzazione del prospetto poco sopra il cornicione a mensola che conclude la parte inferiore e quindi fino al piede delle loggette della zona superiore.
Gli ingressi della nuova, magnifica, facciata sono quindi già esistenti quando Bonifacio indice l’Anno Santo e, infatti, sopra il portale di destra è ancora oggi presente e leggibile un’iscrizione giubilare, la quale viene scolpita direttamente sull’architrave già murato. Si tratta perciò di un’incisione originale dell’anno 1300, anche se in verità l’epigrafe non contiene alcuna datazione, a differenza di quanto sostenuto da diversi studiosi, come ad esempio Vittorio Lusini, che la citano aggiungendo la data “A.D. MCCC”, non presente sull’architrave.
Disposta su tre linee, l’iscrizione riporta le seguenti parole: “ANNUS CENTUS ROME SEMP(ER) E(ST) IUBILENUS / CRIMINA LAXANTUR CUI PENITET ISTA DONA(N)T(UR) / HEC DECLARAVIT BONIFATIUS ET ROBORAVIT”, ossia “Il centesimo anno a Roma è sempre giubilare/I peccati sono rimessi e condonati a chi si pente/Questo dichiarò e confermò Bonifacio”.
Il testo, dunque, rimanda su pietra l’eco della lettera trasmessa da Silvestro da Adria, scrittore pontificio, che, al momento stesso della proclamazione del giubileo da parte di papa Bonifacio VIII, viene incaricato di diffonderne la notizia con una lettera (che ci è pervenuta sia nell’originale, sia in numerose copie in Italia e all’estero, a testimonianza della diffusione dell’annuncio e dell’accoglienza avuta in tutta Europa), contenente quello che possiamo chiamare lo “slogan” del giubileo stesso, slogan che corrisponde esattamente ai tre versi incisi sull’architrave della nostra cattedrale. Versi, semplici e ritmati, fatti per illustrare a tutto il mondo cristiano il modo per ottenere la remissione dei propri peccati e, al tempo stesso, perpetrare il ricordo della grazia concessa da papa Bonifacio VIII. Versi che, come un vero e proprio spot pubblicitario, diremmo oggi, diventano il motto dei predicatori, il ritornello delle canzoni devote dei pellegrini, che a piedi, a cavallo, sopra i carri o nelle navi, confluiscono da ogni dove verso la Città Santa per guadagnarsi da Dio l’annunciata assoluzione.
A riprova di ciò, gli stessi versi sono scolpiti in un’altra epigrafe, ritrovata nei pressi di Roccalanzona (in provincia di Parma) nel marzo del 1834. La pietra era stata incisa su committenza del “domino” Giacomo Valenti, probabilmente di ritorno dal pellegrinaggio a Roma, proprio per tramandare memoria dell’avvenimento giubilare e far conoscere nella sua terra la possibilità di “lucrare” (che in linguaggio spirituale vuol dire “guadagnarsi”) l’indulgenza plenaria e la remissione dei peccati, privilegio che si sarebbe rinnovato ogni cento anni. L’epigrafe, danneggiata e in latino, tradotta ci racconta: “Nel nome del Signore […], /indizione tredicesima. Quest’opera fu fatta /dal maestro Dodo /per volontà del signor Giacomo Valenti /di Casara (?) per questa (?) chiesa, che fece /questa breve memoria dell’indulgenza plenaria /che vi fu a Roma e che sarà in ogni centesimo anno seguente. Perciò ogni cento anni a Roma/ sempre sarà che i peccati saranno perdonati a chi si pente. Questo stabilì e decretò Bonifacio”. La pietra pare che in un primo momento sia stata posta nell’oratorio di Casara, di cui lo stesso Valenti aveva cura, ma andato in rovina l’edificio religioso i materiali vennero riutilizzati in vari modi e la stessa pietra giubilare diventò il coperchio per un pozzo, dopo essere stata divisa in due parti. Nel 1834 la lapide viene riconosciuta per il suo valore e portata, in pezzi, al Museo di Antichità di Parma dove è stata ricostruita (ne è stato fatto anche un calco in gesso). Oggi conservata presso la Galleria Nazionale, sempre a Parma.
Esiste, poi, una terza epigrafe, di natura ancora diversa, che ricorda il giubileo del 1300. Si trova a Firenze, su un edificio in via Giovanni da Verazzano al numero civico 4 (al tempo via della Fogna), vicino a piazza Santa Croce. La lapide descrive la partecipazione al giubileo di una coppia di artigiani, Ugolino e la moglie: commercianti, forse oggetto di pubblica condanna per i loro affari, dopo il viaggio a Roma fanno apporre sulla loro casa la lapide per riacquistare fama di giusti e onesti nella loro città. La lapide fiorentina recita: “Per memoria perpetua sia manifesto/a chiunque che osserverà questa scrittura/affissa che nell’anno del Signor nostro/Gesù Cristo MCCC Dio Onnipotente conferì/una grazia speciale ai Cristiani (…) essendo in quello stesso anno/stata concessa da papa Bonifacio una solenne/remissione di tutti i peccati, cioè/e della colpa e delle pene per chiunque/andasse a Roma, (…) e andovvi Ugolino/con la moglie”. L’epigrafe è di grande interesse dato che ci fornisce un esempio delle persone che si mettono in viaggio in questo anno e delle motivazioni per le quali affrontano questo cammino.
Tornando all’iscrizione posta sul duomo di Siena, dunque, è una testimonianza preziosa proprio perché una delle pochissime in Italia a conservare memoria dello straordinario evento giubilare. Resta, tuttavia, un dubbio: chi ha inciso la lapide senese? Uno studio di Attilio Bartoli Langeli sull’iscrizione della Fontana Maggiore di Perugia, rimette di nuovo in gioco Giovanni Pisano, o almeno qualcuno della sua scuola. Bartoli Langeli, infatti, facendo un’attenta comparazione tra le epigrafi incise dal celebre scultore tra gli ultimi decenni del XIII ed i primi decenni del XIV secolo: quelle dei pulpiti del duomo di Pistoia e di quello, più celebre, di Pisa, oltre a tutti i cartigli delle sculture di Profeti, Filosofi e Sibille che abbelliscono la facciata della nostra cattedrale (gli originali oggi sono nel Museo dell’Opera del Duomo), afferma che anche la solenne epigrafe posta sull’architrave del portale destro che dichiara l’indulgenza giubilare “se non è di Giovanni, certo porta il suo stampo; notabile vi è la separazione delle parole mediante tre punti in asse”. Del resto, ogni officina scultorea elabora come se fosse una firma, una propria e specifica scrittura epigrafica che si distingua, e distingua i propri lavori dalle altre scuole. Un’ipotesi, dunque, non confermata ma certo affascinante che lascia un alone di mistero ancora più fitto, alle porte di un nuovo Giubileo, sulla nostra, già rara e preziosa, iscrizione.
Roberto Cresti
Maura Martellucci
Katiuscia Vaselli
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