Il 22 agosto del 1348 a Siena il morbo della Peste Nera (arrivato in aprile) sta allentando la sua presa e, non a caso, ripartono anche le registrazioni degli atti pubblici. Il Consiglio Generale cerca di contare tra i suoi membri quelli sopravvissuti all’epidemia e, sulla base dei superstiti, fa approvare una riforma per sostituire con procedure più snelle i posti rimasti vacanti per dare un organo di governo efficiente alla città. Sappiamo che tra le figure politiche in carica morirono di peste il Podestà Vinciguerra di Santo Bonifazio, quattro dei Nove, due dei Provveditori di Biccherna (è annotato in una delibera del 29 agosto anche quanto si è speso per i funerali). Il problema delle cariche pubbliche si presenterà, come è logico, anche per gli anni successivi: all’inizio del 1349, a causa della morte di tanti eleggibili, il rinnovo del Consiglio viene rinviato e nell’aprile si salta il periodo di vacazione (cioè il periodo che doveva passare prima che la stessa persona venisse rieletta) perché, si dice, non ci sono gli ufficiali al governo.
Il 22 agosto del 1348 il Consiglio affronta, in maniera decisa e rapida, anche il problema della mancanza dei notai necessari per la gestire gli uffici forensi e le attività giuridiche (i notai, non scordiamolo, sono una figura cardine nella registrazione di atti e documenti pubblici, ma anche nella sfera privata in quanto rogavano i testamenti). Sfogliando le pagine dei registri pubblici colpisce vedere gli effetti della morte su quelle pagine: all’arrivo dei primi contagi le mani di colui che scriveva cambiavano ad ogni nomina, poi ogni settimana, poi di giorno in giorno, poi più volte al giorno. Poi il niente. La gente moriva.Non si registrò più niente per mesi, fino a questo 22 agosto.
Il problema della mancanza dei notai si protrarrà per anni tanto che nel 1351 si denuncia la comparsa di molti che esercitano abusivamente: “molti notari e chierici e layci in Siena e nel contado, fanno l’arte de la notaria ei quali non si sono sottoposti né examnati al’Università de’ giudi, de’ notari né della matricola iscritti”.
Il discorso sui notai apre una problematica fondamentale di questi anni perché ci porta nell’ambito dei testamenti (testamento vuol dire eredità, quindi denaro e beni immobili).
L’11 febbraio del 1349, l’attenzione del Consiglio generale si sposta proprio sul problema dell’appropriazione indebita di eredità e stabilisce multe onerose per coloro che avevano ereditato senza averne diritto eccedendo il suo titolo di parentela con il defunto oltre il quarto grado che rappresentava il massimo limite fissato dal comune.
Questo era successo logicamente perché moltissimi atti privati, con la morte dei notai, erano andati persi e il comune di Siena cercava di rientrare in possesso di tali beni. Così, se da una parte usava le cattive maniere (chi trasgrediva avrebbe dovuto pagare una multa pari al doppio del valore del bene da restituire) ci provava pure con le buone : se i beni usurpati fossero affluiti subito nelle casse comunali chi li restituiva sarebbe stato ricompensato con due denari senesi ogni libbra di beni restituiti al comune e gli sarebbe stato garantito anche l’anonimato (per evitare la multa).
Tuttavia non dovette essere facile se scrive Agnolo: “e doppo la moria i senesi elessero due giudici e tre notai forestieri, i quali furono sopra a’ testamenti che si fecero in detto tempo e così li ricercavano e li trovavano”. La perdita degli atti e il proliferare di persone che esercitavano abusivamente la professione notarile crea problemi enormi in ambito privato, infatti, fino al 1351 abbiamo notizie di controversie patrimoniali sorte a causa di falsi notai che frodavano i cittadini fornendo loro atti non validi.
Un discorso a parte va fatto per i beneficiari dei testamenti e, in particolare, per i lasciti fatti al Santa Maria della Scala. Se analizziamo il 1348 vediamo che vengono rogati a favore dell’ospedale senese 124 testamenti, numero che salirà nelle successive epidemie del 1363 e del 1374. I testamenti del 1348 sono fatti anche dopo la morte del testatore (da un parente sopravvissuto) e si specifica che la persona morta di peste aveva la volontà di lasciare i propri averi all’ente ospedaliero. Oppure si nomina erede l’ospedale perché i parenti prossimi sono morti e l’ospedale poteva svolgere (in vece dei figli) i riti finalizzati alla salvezza dell’anima. Oppure nominava erede il Santa Maria chi, rimasto solo, si faceva oblato dell’ospedale ed andava a vivere ed operare al suo interno. Per l’ospedale, più pronto e organizzato del Comune, la dispersione delle eredità incise in maniera minore: tramite la sua rete cercò di avere sempre sotto mano gli atti per incamerare i beni e le ricchezze non appena fosse giunto il triste momento.
Maura Martellucci
Roberto Cresti
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