Ameraldo Bianciardi non è solo un barbaresco che ha vinto quattro Palii. E’ anche un “primo”, un cantante dalla voce acuta, con la passione per gli stornelli senesi.
Se vedete per la strada un ricciolo argentato che corre probabilmente è quello di Ameraldo Bianciardi. Perché ad “Ame” vedere qualcosa che si muove è sempre piaciuto, che siano dei cavalli irruenti, un pallone da calcio o i propri piedi. Dal ’69 al ’95 (con una pausa nel biennio ’81-’82) è stato barbaresco della Nobile Contrada dell’Aquila. In quegli anni ha visto passare dalla stalla i migliori cavalli della storia del Palio, da Panezio a Pytheos, passando da Urbino, Brandano e Rimini. E con quattro di questi ci ha anche vinto. Adesso vive la contrada con il distacco che spesso arriva con la maturità. La sua presenza, però, si fa sempre sentire, anche per il suo carattere burbero e deciso, da uomo figlio di un altro tempo.
E’ stato barbaresco della Nobile Contrada dell’Aquila per circa venticinque anni. Ha visto cambiamenti in quell’arco di tempo?
Per i primi venti anni le cose sono rimaste quasi uguali, anche perché i capitani duravano di più, dieci-quindici anni. Ora siamo più “democratici”, tutti possono far tutto, ma all’epoca poteva fare il capitano solo chi aveva possibilità economiche. La sottoscrizione del popolo, quando ho iniziato, era minima.
Perché nel ‘69 la scelsero come barbaresco?
Non era come ora, che ci sono le corse per certi ruoli. Fui scelto perché non c’era nessuno che lo voleva fare o aveva il tempo per dedicarcisi. L’altro motivo era che avevo portato in Piazza il soprallasso. Per prima cosa iniziai ad andare dai cavalli di Chicco Cinotti e mi feci insegnare dal suo vecchio stalliere “Ciambella”, che aveva due gambe storte che sotto ci sarebbe passato un camion. Negli anni in cui iniziai c’era un anziano che ci dava una mano nella stalla, un ex vetturino che lavorava allo Sclavo e, tra l’altro, non era nemmeno dell’Aquila. Anche lui mi ha insegnato diverse cose.
Invece cosa le è rimasto delle quattro vittorie vissute nella stalla (’73, ’79, ’88, ’92)?
Quella del ’73 arrivò con il professor Paolo Goretti. A luglio sì montò quel fantino romano , Adolfo Manzi, su Rondine II. Arrivati al giorno del Palio nell’Entrone mi chiese “ce l’hai mica un po’ di pece?”. Aveva paura di cascare. D’agosto ci toccò Panezio e si rimontò il Manzi. In quel Palio fu bravo il professor Goretti, che si espose in prima persona.
Poi siamo andati al ’79, il secondo Cencio che abbiamo vinto con Andrea (De Gortes detto Aceto, ndr). Con lui ero amico da prima che vincesse la prima volta nell’Aquila nel ’65. Negli anni abbiamo avuto un rapporto particolare, visto che nel periodo in cui sono stato barbaresco evitavo di frequentarlo in cene o cose del genere. Avevo troppo rispetto per la contrada per creare situazioni di imbarazzo per i dirigenti. Nel ’79 il capitano era Girolamo “Momi” Brandolini d’Adda, che per prima cosa mi portò a ricomprare tutto il materiale per la stalla. Ad agosto poi ci toccò quel super cavallo che era Urbino e Momi chiamò subito Andrea. Ebbi una discussione con il sindaco Barni, quando portai via il barbero dalla passeggiata storica. Gli risposi male al telefono e lo mandai letteralmente “a quel paese”. A vittoria di Palio gli chiesi scusa e finì tutto lì.
Nel ’88 ci toccò Figaro, un cavallone grosso con cui avevamo già corso. La prima volta si era mostrato un cavallo agitato, con problemi nel mangiare e che mordicchiava. Invece quando arrivò nuovamente nella stalla sembrava un animale diverso. Visto che nel Palio ci vuole anche un po’ di fortuna e di astuzia, bisogna dire che se Bucefalo non avesse cambiato posto alla mossa non avremmo vinto mai, data l’azione lunga del cavallo.
L’ultimo Palio è quello del ’92, speciale anche perché vinto con Andrea. La corsa si racconta da sé. Bellissimi furono anche i giorni dopo la vittoria. Mi ricordo di quella volta che avevamo fatto preparare una torta con l’arrivo e Aceto ci impedì di mangiarla per portarla ad Asciano da quanto era fatta bene. Alla fine mangiammo il gelato.
Martedì prossimo verrà svelata una targa in onore di Urbino. Secondo lei era veramente il più forte?
Senza dubbio. Per perdere il Palio con Urbino dovevi farlo apposta. Faceva tabula rasa degli altri. L’unico difetto, a trovarlo, è che strizzava un po’ troppo.
Nella sua esperienza nella stalla ha vissuto l’avvento dei veterinari di contrada. Com’è andata?
All’inizio c’era quello del Comune e un altro paio che giravano per tutte le contrade. Poi arrivò il periodo dei veterinari di contrada e tutto cambiò. Da parte mia io ho accolto questi grandi professionisti con rispetto. Sicuramente il loro avvento è stato un passo in avanti rispetto al periodo del “beverone”, che faceva peggio che meglio!
Lei è stato barbaresco, suo figlio Duccio è stato nella stalla e a suo nipote Leonardo piacciono molto i cavalli. In famiglia ne parlerete di continuo…
In realtà non ne parliamo molto. Forse la colpa è mia, perché non sono molto “espansivo”. Se loro hanno seguito questa strada non è dipeso certo da me, lo hanno scelto da sé. Non l’ho nemmeno spronati e non penso nemmeno che li abbia mossi lo spirito di emulazione nei miei confronti.
Oltre ai cavalli una suaaltra grande passione sono gli stornelli senesi. Qual è la volta che si è emozionato di più a cantare?
Mi sono emozionato parecchio a cantare con Roberto Ricci. Lui a volte mi prendeva e mi portava a fare due cori nella Giraffa. Ci si trovava solo tre giorni prima, ma le cose venivano fuori bene. A volte lo chiamavo e ci si metteva a cantare per strada, oppure durante la cena della prova generale lo chiappavo e, mentre gli altri mangiavano, si attaccava.
Altro bel ricordo è di quella volta che alle 4 di notte cantammo in Piazza, nella nebbia, con un gruppo di contradaioli di diverse contrade. A un certo punto arrivò un gruppo di alpini che il giorno dopo doveva esibirsi a teatro. Anche loro si misero a cantare e venne fuori una cosa bellissima, unica direi. Alla fine andammo anche a bere e facemmo mattina!
Sbaglio o ultimamente la gente canta sempre peggio…
Sicuramente prima c’era più cultura musicale in generale. Oggi c’è anche meno passione per gli stornelli senesi. A me questo dispiace.
Suo zio Aladì è andato a prendere il cavallo molte volte, di cui alcune vittoriose. Che cosa gli diceva prima di andare in Piazza?
Lui di cavalli non ci capiva nulla. Io gli davo i numeri dei “bomboloni” da prendere. Solo al Chiasso Largo riusciva a capire il nome del cavallo che aveva preso. Che grande contradaiolo!
Emilio Mariotti