L’arte italiana è talmente ricca di opere di valore che alcune di queste restano sconosciute ai più. Come le sculture in legno dipinto del Quattrocento fiorentino, al centro di una mostra alla Galleria delle statue e delle Pitture degli Uffizi dal 21 marzo al 28 agosto. L’esposizione temporanea propone per la prima volta al pubblico, attraverso un nucleo di circa cinquanta opere un tema studiato da Margrit Lisner e da Alessandro Parronchi, ma ancora di nicchia e noto quasi solo agli addetti ai lavori.
Nella Firenze del Quattrocento la scultura dipinta, in linea col primato artistico della scultura, costituiva un imprescindibile modello espressivo per tutti gli artisti. In particolare, il tema del corpo sofferente sulla croce, modellato con un nuovo sentito naturalismo nei crocifissi di Donatello e Brunelleschi, fu oggetto di riferimento per l’attività delle generazioni successive di artisti.
Accanto alla qualificata produzione di crocifissi, si intagliarono anche statue della Madonna, di sante e santi eremiti dai corpi tormentati o preservati dal dolore, busti-ritratto, statue al centro di polittici misti e statue per l’arredo liturgico.
Donatello e Brunelleschi dipingevano, presumibilmente, oltre che modellare le loro opere, poiché la policromia costituiva insieme all’intaglio un elemento essenziale per il raggiungimento di quel naturalismo integrale che perseguivano nelle loro opere. Tra queste ricordiamo i superbi Crocifissi di Santa Croce e Santa Maria Novella. Numerosi scultori invece per dipingere le loro opere si rivolgevano ai pittori. Neri di Bicci, che aveva a Firenze una bottega avviata in via Porta Rossa, fu uno tra i pittori più richiesti per lo scopo: dipinse busti intagliati da Desiderio da Settignano e crocifissi da Benedetto da Maiano; con un monaco-scultore, don Romualdo da Candeli, il pittore intrattenne un rapporto di stretta collaborazione, descritto nelle sue ‘Ricordanze’, ed attestato dalla Maddalena al Museo della Collegiata di Sant’Andrea a Empoli, presente in mostra.
Proprio la ‘Maddalena’, in virtù di quella eseguita da Donatello (Museo dell’Opera del Duomo, Firenze), costituì un tema prediletto dagli scultori, come attestano in mostra l’avvenente Maddalena di Desiderio da Settignano della chiesa di Santa Trinità , terminata da Giovanni d’Andrea, un allievo del Verrocchio, e quella di Francesco da Sangallo del Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte. Proprio la Maddalena di Santa Trinità è un esempio di quel polimaterismo che, adottato da Donatello per la sua Maddalena, venne poi recuperato, nei suoi valori tecnico – espressivi, da Pollaiolo e da Verrocchio: la statua, ricordata da Vasari come “bella quanto più dir si possa”, non è infatti eseguita esclusivamente in legno, poiché ricavata da un tronco di salice, ma con la parte posteriore in sughero e i capelli modellati in gesso.
La mostra illustra inoltre come nell’ultimo quarto del Quattrocento alcune grandi botteghe a conduzione familiare, sollecitate dalle richieste del mercato artistico, si fossero specializzate nella realizzazione di crocifissi e non solo per le chiese, bensì destinati anche alla devozione privata e conventuale. Tale produzione fu predominante tra gli esponenti della più alta tradizione dell’intaglio ligneo fiorentino: i fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano, i Sangallo – Giuliano, Antonio il Vecchio e Francesco -, i Del Tasso – Francesco e Leonardo – e Baccio da Montelupo. In mostra si segnalano in particolare per qualità il Crocifisso della SS. Annunziata di Firenze di Giuliano da Sangallo, quello del Museo Civico di San Gimignano di Benedetto da Maiano dipinto dal pittore Cosimo Rosselli e l’esemplare del Convento di San Marco di Baccio da Montelupo, già appartenuto a Savonarola.
Il Tondo Doni, che fa parte del circuito della mostra, è uno fra i più famosi episodi di collaborazione tra pittore, Michelangelo, e un esponente della più alta tradizione dell’intaglio ligneo fiorentino, Francesco del Tasso, che eseguì la cornice con grottesche, fantasiosi racemi e protomi umane, quasi sicuramente su disegno dello stesso Michelangelo. Un’altra occasione di stretta
collaborazione tra pittori e scultori scaturiva dalla realizzazione dei polittici misti: grandi altari con al centro una statua in legno e pannelli laterali dipinti. La bellezza di queste scenografiche composizioni, che spiccavano nello spazio liturgico, è attestata in mostra dal Sant’Antonio Abate (Museo Nazionale di Villa Guinigi, Lucca), parte centrale dello smembrato polittico Bernardi e opera di Benedetto da Maiano, originariamente affiancata da due tavole di Filippino Lippi raffiguranti ciascuna due Santi (oggi al Norton Simon Museum di Pasadena) e dal Tabernacolo di San Sebastiano (Sant’Ambrogio, Firenze) intagliato da Leonardo del Tasso e dipinto dallo stesso Filippino Lippi.
In questo racconto della scultura in legno dipinto si dà conto anche delle presenze ‘straniere’ a Firenze. Nel 1457 è documentato in città il misterioso scultore Giovanni Teutonico, un artista itinerante – autore in città di alcuni lavori tra i quali il Crocifisso, in mostra, della chiesa di Sant’Jacopo Soprarno -, che veicolò esperienze d’oltralpe in Italia, nel segno di un naturalismo volto a una cruda, teatrale, resa espressiva del dramma umano, diverso da quello donatelliano, comunque ispirato ad una veridica, condivisa umanità .
Presente in mostra anche il San Rocco della Santissima Annunziata di Veit Stoss, un altro apprezzato scultore d’oltralpe che venne salutato da Vasari come «miracolo di legno (…) senza alcuna coperta di colore». Nel pensiero classicista cinquecentesco, la scultura lignea era infatti chiamata a esibire il materiale e non più ricoprirlo con la policromia.
Con questa esposizione «grazie a nuovi studi o per via di fortuiti ritrovamenti, statue meravigliose sono liberate da una segregazione secolare nel buio delle cappelle, altre rivestono nuovi panni dopo restauri accurati, altre ancora trovano una più consona collocazione attributiva. Si scopre che la scultura toscana era molto più cosmopolita di quanto si pensi: assorbiva le migliori novità d’oltralpe e iberiche, prendeva a prestito gli ornati dall’oreficeria francese. Nella mostra, come nel catalogo a corredo, le opere possono di nuovo dialogare in una realtà viva: e pare quasi di avvertire, a mezzo millennio di distanza, i rumori di subbie, di scalpelli, di pestelli nei mortai, le voci dei garzoni che portano i sacchi di gesso, macinano i pigmenti, mettono in ordine la bottega, si sentono in sottofondo gli ordini dei maestri – tutta la febbrile, mirabile, operosa, creativa esistenza delle botteghe del Rinascimento». (Eike D. Schmidt).
La mostra a cura, come il catalogo edito da Giunti, di Alfredo Bellandi, è promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con le Gallerie degli Uffizi, la Galleria delle Statue e delle Pitture degli Uffizi e Firenze Musei.