Foto di Niko Giovanni Coniglio
Venerdì 3 giugno il duo toscano ha chiuso la prima serata del Music circus di Montalcino, una delle tappe del tour di presentazione del nuovo album. Prima del concerto abbiamo incontrato i ragazzi, che si sono raccontati nel corso di una piacevole chiacchierata
Spontanei, ironici, nostalgici. A tratti romantici. Irriverenti, ma non per questo volgari. Tre album all’attivo – l’ultimo, intitolato Flop, uscito a marzo di quest’anno – e una partecipazione a X-Factor che, con un video che ha superato quota 2 milioni di visualizzazioni su Youtube, li ha resi celebri nonostante la loro precoce eliminazione. Questo il biglietto da visita di Cecco e Cipo – al secolo Simone Ceccanti e Fabio Cipollini – entrambi originari di Vinci, provincia di Firenze. I due, amici fin dall’infanzia e grandi appassionati di Rino Gaetano, hanno iniziato a suonare i primi accordi nella loro stanza, ispirandosi ai più grandi cantautori italiani. Oggi, a quasi due anni di distanza da quell’ottobre 2014 in cui sono saliti alla ribalta nazionale, continuano a cantare le loro storie e sembrano non avere alcuna intenzione di fermarsi.
Sul vostro sito, nella sezione dedicata alla biografia, si legge che agli esordi vi siete finti un’agenzia di booking per riuscire a suonare nei locali. È una leggenda oppure è successo davvero?
“Sì, è tutto vero. Nella scena della musica indipendente italiana è piuttosto difficile riuscire a trovare delle date senza l’aiuto di un’agenzia. Mandavamo decine di mail ai locali, ma ci sentivamo sempre rispondere che avremmo dovuto avere un’agenzia di booking per suonare. Così un giorno decidemmo di aprirne una nostra, finta naturalmente. Creammo addirittura una pagina Facebook per risultare più credibili. In questo modo chiamavamo i locali presentandoci come un certo Riccardo, proprietario di questa fantomatica agenzia. All’inizio funzionò, e ricevemmo addirittura richieste da parte di alcuni gruppi della zona. Riuscimmo anche a trovare qualche data, ma non durò molto. Dopo poco, infatti, decidemmo di smettere, anche perché era una cosa decisamente illegale (ridono, ndr). Dopo X-Factor, poi, non abbiamo più avuto bisogno, e per la prima volta abbiamo avuto l’opportunità di avere un’agenzia di booking vera, mandando in pensione quella finta”.
Veniamo a Flop, il nuovo disco. La seconda traccia, Non voglio dire, racconta la storia di una ragazza che lavora come commessa in un negozio di abbigliamento con il sogno di diventare una modella famosa. Per raggiungere il successo, però, si deve sottoporre ad un “test” piuttosto particolare…
“La storia della ragazza è un esempio, un po’ estremizzato, di quello che succede nella vita di tutti i giorni. Per raggiungere i tuoi obiettivi, grandi o piccoli che siano, spesso devi scendere a compromessi. Nella canzone è un po’ esasperato questo concetto, è l’esempio più crudo che avremmo potuto trovare, ma alla fine è tutto vero. È un argomento di cui si parla da tempo, ma ancora oggi è più attuale che mai per quanto riguarda il mondo del lavoro. Soprattutto per le donne, purtroppo”.
Da dove nasce la particolareggiata descrizione della clientela che si può ascoltare in Centro commerciale?
“Finito il liceo – racconta Cecco – ho trovato lavoro per sei mesi come stagista in un negozio di elettronica all’interno di un centro commerciale. Ogni giorno, quindi, ho potuto osservare gli svariati tipi di persone che popolano questo tipo di luoghi: ci sono i borseggiatori, i vecchietti che controllano i prezzi, chi aspetta l’apertura della saracinesca per essere il primo ad avere l’ultimo modello di iPhone e chi, semplicemente, passeggia per ingannare il tempo. È stata una grande fonte di ispirazione e racconta un periodo della mia vita, anche se per la verità non particolarmente felice (ride, ndr)”.
A chi è rivolta E le foglie sorridono?
“La canzone è nata circa due o tre anni fa. Tutto è iniziato la sera in cui abbiamo suonato ad una festa organizzata dall’associazione Oda, che si occupa di ragazzi con disabilità. Abbiamo trascorso un pomeriggio con loro ed è stata una bellissima esperienza, ed abbiamo cercato di trasmetterla attraverso questo brano. Che, a dire la verità, all’inizio avevamo messo in un cassetto perché non ci convinceva del tutto, vista anche l’importanza del tema. Con il tempo invece l’abbiamo rivalutata e l’abbiamo inserita nel nuovo album”.
Lo scorso anno avete fatto oltre 100 live in giro per l’Italia. Quanto è importante suonare dal vivo?
“Il nostro punto di forza è il live, sia per il tipo di musica che suoniamo che per lo spettacolo che offriamo. Il disco per certi versi rimane ‘piatto’, non avendo la possibilità di interagire con il pubblico. Oltre al fatto che è la nostra unica fonte di guadagno, dato che ormai la maggior parte delle persone ascolta musica sul web e di dischi non se ne vendono quasi più, suonare dal vivo ci diverte moltissimo. È sul palco che diamo il meglio di noi. L’anno scorso, con più di 100 date, è stata una vera goduria”.
Com’è stato l’impatto con la popolarità post X-Factor?
“Abbiamo due caratteri molto differenti, uno estremamente estroverso (Cipo, ndr) e l’altro più chiuso (Cecco, ndr), ma è un grandissimo piacere ogni volta che qualcuno ci ferma per strada per una foto o anche solo per salutarci. X-Factor è una stata un’enorme botta di adrenalina e il fatto di essere arrivati lì dopo avere suonato tanto in giro ci ha aiutati a gestire al meglio la situazione, a restare con i piedi per terra. Se avessimo fatto il provino anche soltanto un anno prima probabilmente sarebbe stato molto diverso. Veniamo da un mondo ‘precario’ e siamo consapevoli che mentre un giorno sei all’apice del successo quello successivo potresti già essere finito nel dimenticatoio”.
Avendo partecipato in prima persona, che idea vi siete fatti dei talent show?
“Quella dei talent è una realtà molto particolare, tanta visibilità in un periodo così breve può essere pericolosa se non si è preparati. A noi è andata benissimo, ma è un meccanismo che può essere crudele. Inoltre molti dei concorrenti non hanno alcuna esperienza, quasi non sanno cos’è una spia o un microfono, anche se magari hanno una bella voce. Abbiamo visto ragazzi e ragazze montarsi la testa e poi, una volta eliminati, abbattersi al punto tale da decidere di abbandonare la musica. La gavetta invece è sempre importante. Là dentro è po’ come vivere fuori dalla vita reale: ci sono le telecamere, ti senti al settimo cielo… è facile illudersi”.
Quanto l’autoironia e il non prendersi troppo sul serio sono stati importanti per la vostra musica?
“È una caratteristica che da sempre ci contraddistingue. Cerchiamo sempre di essere noi stessi, anche quando suoniamo, e l’essere ironici fa parte del nostro modo di essere. Riprendendo l’esperienza di X-Factor, probabilmente abbiamo avuto successo non tanto per la canzone in sé, ma per il nostro approccio ‘leggero’. Forse la gente aveva bisogno di una ventata di ironia, stanca dei soliti personaggi seri, impostati. Eravamo molto diversi rispetto a tutti gli altri concorrenti, rappresentavamo un qualcosa che solitamente non si trova nel format dei talent show, e dev’essere stato questo che è piaciuto al pubblico. Ironia che, però, è cosa ben diversa dal nonsense: alcuni, limitandosi ad ascoltare Vacca boia (il singolo di X-Factor, ndr), ci hanno etichettato come autori di musica esclusivamente demenziale. In realtà abbiamo tre dischi pubblicati che racchiudono anche canzoni che affrontano tematiche serie, che cercano di esprimere dei messaggi. Ecco, è forse questa la pecca maggiore del talent: in un arco di tempo molto breve ti permette di raggiungere tantissime persone, la maggior parte delle quali, però, si ferma lì senza approfondire l’ascolto”.
Giulio Mecattini