Silvia Forzoni, conosciuta sul web come Tanamà, (“Farfalla” nel dialetto degli indiani latini nativi di Puerto Rico, ndr) artista e terapeuta, si dedica attivamente alla terapia nei laboratori di sostegno psico-emotivo per giovani a rischio o per adulti che vivono l’esperienza della malattia o di un trauma, realizzando percorsi introspettivi tesi al superamento di conflitti interiori. L’abbiamo intervistata e discusso di arte, emozioni, colori e positività, andando alla scoperta del suo particolare lavoro.
Coma nasce l’interesse per l’arteterapia di cui poi ha fatto il suo lavoro?
“Da quando ho cominciato gli studi artistici ho sempre trovato che al di là dell’aspetto più artistico e tecnico provavo un interesse particolare per la parte emotiva, e già fin dall’adolescenza, affidavo all’arte emozioni che non ero in grado di esprimere a parole. A San Francisco son venuta a conoscenza dell’arteterapia: mi piace poter utilizzare una capacità naturale ponendola anche al servizio degli altri. Nella nostra società l’arte viene vista come relativa esclusivamente agli artisti, invece la capacità di creare è una caratteristica che abbiamo tutti, ed è una risorsa importante per il benessere stesso della persona. Poter utilizzare l’arte come terapia è come poter stimolare negli altri una ricerca di investigazione a livello creativo e a livello sub-cosciente, quindi più profonda, che avviene quando si realizza l’immagine”.
Qual è il ruolo dell’arteterapia e perché è importante?
“Con l’Associazione Serena, per esempio, stiamo facendo un laboratorio come sostegno psico-oncologico per le donne operate al seno, però ho seguito anche persone che sono venute in un momento di confusione o di depressione. Spesso sono persone che hanno difficoltà nella comunicazione verbale. Nell’arteterapia si lavora attraverso il processo artistico alla creazione di un’opera (non necessariamente un’immagine), e l’interazione avviene in silenzio nella prima parte della sessione. Questo permette alla persona di mettersi in connessione con le proprie emozioni, di trasmetterlo all’immagine e creare una prima dissociazione da quello che sta passando. Vederlo da fuori permette di giudicarlo, accettarlo ed eventualmente trasformarlo in una seconda immagine. In questa liberazione che avviene a livello incosciente vengono fuori delle cose nuove, di cui la stessa persona si stupisce, riconoscendo una verità che si stava nascondendo. Spesso la rabbia o la paura di morire, vengono negate o represse, ma nel lavoro con l’immagine emergono: è istintivo, la necessità emerge attraverso il processo creativo. Grazie a questo processo la persona riesce poi anche a parlarne instaurando una condivisione verbale, che in quel momento avviene in modo più spontaneo e fluido”.
Quali sono i benefici che si possono riscontrare a livello clinico?
“L’arteterapia è considerata come una psicoterapia dalla medicina alternativa, perchè si lavora in un tipo di incontro dove si crea anche la relazione tra il paziente e il terapeuta. Ci sono diversi studi che hanno evidenziato come l’intervento dell’arteterapia durante la chemioterapia o il supporto post terapia, fanno aumentare la capacità di coesione, l’autostima, la capacità di reagire di fronte alle situazioni difficili. Nello studio di un laboratorio che abbiamo fatto per un anno al day hospital di Campostaggia -finanziato dall’Istituto Toscano Tumori- è emerso che sulla percentuale dei partecipanti c’era stato una risposta positiva rispetto all’utilizzo dell’arte terapia. Durante la sessione di chemio, ad esempio, anziché concentrarsi sul proprio dolore, nasce un momento di intrattenimento, la persona che durante la malattia perde la sua capacità di sentirsi creativa sta invece facendo un intervento creativo, quindi sta riappropriandosi di una parte che si sente sfuggire. Aiuta a diminuire la percezione del dolore, perchè sposta l’attenzione verso altre risorse, scaricando in un primo momento la tensione per poi approdare ad una creazione più armoniosa. In arteterapia si permette di concretizzare l’esperienza, si crea un nuovo ordine esteriore e metaforicamente e inconsciamente questo viene accolto e percepito a livello interiore creando nuova armonia e chiarezza. Si fa una cartella di tutti i lavori valutando l’evoluzione dell’immagine e quindi l’evoluzione nel percorso emotivo del paziente. A valutare i lavori sono gli stessi pazienti , che a distanza, riflettono e fanno la propria lettura. L’arteterapeuta interviene come aiuto in una situazione di blocco o da’ delle indicazioni, aiuta a vedere quello che il paziente momentaneamente non prende in considerazione”.
L’arteterapia può giovare a tutte le età?
“I laboratori sono per tutti, bambini adolescenti e adulti. A tutte le età si può riscoprire questa traccia autentica. Lo scopo dell’arteterapia non è imparare a dipingere – non è assolutamente un corso di pittura – ma dare la possibilità alle persone di riscoprire la creatività che è insita in ognuno di noi, poi, tramite la creatività anche l’autostima. Stare bene con se stessi significa stare meglio nella società”.
Il prossimo 16 aprile potremo assistere alla tua personale mostra. Di cosa si tratta?
“Mi è stata data la possibilità di lavorare con Giovanna Maria Carli – curatrice artistica della mia mostra-che si terrà all’Enoteca Italiana. Avrà come soggetto la mia rivisitazione della conchiglia di Piazza del Campo. InCanti della conchiglia è percorso per rivivere Siena, che è la mia città, dopo l’esperienza fuori. Il senso è ritrovare le mie radici. La conchiglia è anche il simbolo del femminile, e volevo dare una lettura nuova rispetto alla nostra piazza. Lo sento un po’ come un omaggio alla mia città”.
Tilde Randazzo