Ci siamo, è il 25 dicembre, è Natale e la rubrica curata dal professor Duccio Balestracci, tra storia, leggenda e divertimento, raggiunge l’episodio fulcro di tutta la ricostruzione
Avevamo già incontrato (ve lo ricordate?) il culto del Sol Invictus, quella festa che arrivava in coda ai Saturnali e, insieme ad essi, celebrava il ciclo del Sole che “moriva” e di quello che “rinasceva”. E la festa del Sol Invictus, nel mondo romano si teneva (forse) il 25 dicembre. Ma andiamo con ordine. Di che cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di un culto orientale, secondo il quale (soprattutto nella tradizione siriana ed egiziana) il Sole nasce alla mezzanotte del 25 dicembre, partorito da una vergine.
Il culto (che già, come si vede, presenta inquietanti assonanze con la tradizione cristiana) viene importato a Roma sotto Eliogabalo (che regna dal 218 al 222), anche se sparisce dopo la morte del sovrano. Sopravvive, però, nell’impero sasanide (quello che ha come capitale Palmira: sì, lei, la città martire), conquistato da Aureliano nel 272. Secondo la tradizione, l’imperatore ebbe una visione del dio Sole di Emesa che, in battaglia, combatteva a fianco dei Romani. Sia stato per questo o, più probabilmente, in segno di pacificazione e integrazione, è un fatto che Aureliano nel 274 porta a Roma i sacerdoti del Sol Invictus, zoroastriani adoratori, appunto, del Sole a sua volta identificato con Mitra. Non è per niente chiaro (gli studiosi ne discutono) se il Mitra iranico-zoroastriano sia lo stesso del mondo greco-romano (forse no), ma è un fatto che questo dio nasce il 25 dicembre.
Non è nemmeno il solo, peraltro: in questa data nascono anche Tammuz, divinità sumerica associata a quella (semitica) di Adone il quale, a sua volta, è assimilabile al fenicio Baal, all’anatolico Sandan e al frigio Attis, tutte figure collegate con il ciclo di morte e rinascita della natura. Ah, non è finita: per il solstizio d’inverno sembra che sia nato anche l’egiziano Horus, figlio di Iside e Osiride, il cui occhio sinistro è la Luna e il destro il Sole.
Ma il 25 non è il solstizio d’inverno, state obiettando. Certo che no, però Sosigene di Alessandria, al quale Cesare si era rivolto per riformare il calendario, lo aveva collocato proprio in quel giorno e il calcolo (errato) aveva finito per risucchiare la nascita di tutte quelle divinità proprio sul 25 dicembre. Compresa la data del Sol Invictus. Forse.
Forse, perché sembra che questa festa si facesse in altri giorni, ma a metà del IV secolo Furio Dionisio Filocalo, autore del “Cronografo”, un calendario, per l’anno 354, sostiene che la festa del Natale cade nel giorno del Sol Invictus e che quest’ultima si celebra il 25 dicembre già per lo meno a partire dal 336.
A quest’epoca, peraltro, il Sol Invictus è già stato (anche se da poco) cristianizzato e collegato a Gesù. A creare il legame (o, almeno, a promuoverlo) è molto probabilmente Costantino che, contrariamente a quanto ci hanno sempre raccontato, se scelse il cristianesimo non fu affatto alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio (28 ottobre 312: quella del “In Hoc Signo Vinces” che, per parte sua, non era probabilmente affatto una croce sfolgorante, ma proprio un sole); se mai lo fece, si convertì in punto di morte. Non era cristiano: era sincretista e voleva fondere il culto del Sole (al quale era devoto) con quello di Cristo in cui si riconosceva una parte amplissima (se non quasi totale) dei suoi sostenitori (ah, a proposito: a Ponte Milvio, di cristiani ce n’erano anche nell’esercito di Massenzio, e l’editto di tolleranza costantiniano di Milano, 313, è preceduto da quello analogo massenziano di Serdica – oggi si chiama Sofia – nel 311. Così, per saperlo).
Insomma, il 25 dicembre è una data collegata alla rinascita del Sole, e Cristo altro non è che il Sole della Salvezza che rinasce: non per una stagione, ma per l’eternità. Sant’Agostino, Sant’Ambrogio, altri apologeti invitano proprio a non celebrare più, in quel giorno, il pagano Sol Invictus, ma la nascita del Sol Aeternus.
C’è, però, anche dell’altro, nella “canonizzazione” della data della Nascita.
Tertulliano (c.a 155-c.a. 220) sostiene che Cristo è morto il 25 marzo. Ora, se i Vangeli canonici dicono il giusto, questo non è possibile o, almeno, è alquanto improbabile, ma la data si inseriva in una combinazione perfetta di altre date: Cristo, in quanto Dio, non poteva aver vissuto in specie umana che per un numero esatto di anni, e se era morto il 25 marzo, quella era anche la data in cui si era, per forza, incarnato nel grembo della Vergine, pertanto doveva essere nato dopo nove mesi esatti. Appunto il 25 dicembre. Una lettura forzata, come si vede (e voler trasformate Gesù in un cronografo svizzero di precisione fa, oggi, anche un po’ sorridere), ma, all’epoca, appariva teologicamente accettabile. La data della Passione, insomma, coincide con i giorni dell’equinozio di primavera e quella della nascita con quelli del solstizio d’inverno: da un lato il momento in cui il sole rinasce, dall’altro quello del culmine della rinascita. Peraltro, la tradizione ebraica celebra proprio in quel giorno la Hannukkan, ovvero la festa della luce, e può essere che la coincidenza non sia affatto casuale e che la vulgata cristiana non abbia fatto altro che ancorarsi alle sue antiche origini giudaiche.
Questa caratteristica di “inizio del tempo” legata al 25 dicembre, peraltro, tracima nella cultura folklorica, nel momento in cui sottolinea l’aspetto liminale, di passaggio fra due momenti del tempo ciclico. Nelle tradizioni condivise di gran parte d’Italia (per restare nell’ambito di casa nostra) chi nasce alla mezzanotte fra il 24 e il 25 dicembre è destinato a diventare, se è maschio, lupo mannaro e, se è femmina, strega. La lettura cristiana di queste credenze, le spiega dicendo che è impensabile che in quel momento nasca altri che Gesù. In realtà, queste tradizioni affondano quasi certamente in un contesto pre-cristiano e a-cristiano. Chi nasce nel momento di “passaggio” fra un ciclo che muore e un ciclo che rinasce non appartiene a nessuno dei due tempi e dunque non appartiene né alla natura umana né a quella sacrale delle streghe e dei licantropi, persone che, nella vita, alternano momenti di “normalità” a quelli di soprannaturalità.
Mettiamo anche in chiaro, tuttavia, che, ai cristiani delle origini, di sapere quand’era nato Gesù non gliene poteva importare di meno: era la data della morte, resurrezione e salvazione del mondo che a loro interessava. Ancora alla fine del II secolo, San Clemente di Alessandria (Clemente Alessandrino) sfotteva senza misericordia quanti cercavano di capire quando Gesù era venuto al mondo. E non aveva nemmeno torto: a parte il fatto che una corrente cristiana (bollata dalla Chiesa ufficiale come eretica: gli gnostici) sosteneva che il “dies natalis” era da considerarsi il 6 gennaio (giorno “sensibile” e sacro anche quello: è il giorno in cui nasce Dioniso, dio legato all’allungarsi delle giornate, e in cui nasce anche Eone, partorito anch’egli da una vergine – Kore -, considerato signore della luce) quando Gesù era stato battezzato e quando (solo allora: non prima) la natura divina aveva preso posto nel corpo umano del Cristo; a parte questo, si diceva, se si seguono i Vangeli canonici, si legge che quando nasce il Bambino, la Notte Santa è piena di pastori che guardano le greggi all’aperto. Ora, in Palestina, a fine dicembre, di notte, fa un freddo boione e che si tengano le pecore all’addiaccio è quantomeno improbabile. Se i Vangeli hanno ragione, siamo in primavera, non in inverno. E gli stessi Vangeli canonici non fanno cenno a grotte di Natività, ma parlano solo di una mangiatoia. Se c’è una mangiatoia siamo quasi sicuramente in una stalla, e che Giuseppe e Maria abbiano trovato ricetto proprio lì è possibile. Ospitare gente di passaggio in stalle o fienili quando non c’era altra sistemazione è stata, per secoli, cosa del tutto consueta; dunque, per deduzione, anche se non per esplicita dichiarazione, la stalla ci può stare.
Ma la grotta da dove spunta fuori? Non si fa fatica a intravedervi un retaggio della tradizione mitraica che, proprio in una grotta, fa nascere il suo dio. Non è, questo, nemmeno l’unico elemento di contaminazione: tutto il Cristianesimo (e anche l’Islamismo, per parte sua, per qualche tratto) è ampiamente debitore nei confronti dello Zoroastrismo. Ma non possiamo parlarne qui: se capita riprenderemo il discorso.
E’ un fatto che, prima del III-IV secolo, semplicemente, il Natale non esiste!
A proposito (ma questo è risaputo), Gesù non è per niente nato nell’anno 1 (l’anno zero non poteva esistere perché lo zero era ancora sconosciuto, prima che nel 1202 Leonardo Fibonacci lo consegnasse all’Occidente con il suo “Liber Abbaci”, andandolo a scovare nei testi arabi che, a loro volta, lo avevano ripreso da quelli indiani, i quali lo avevano appreso dalla cultura babilonese). Il calcolo della nascita di Cristo, opera di Dionigi il Piccolo (monaco vissuto fra il V e VI secolo: si volle, lui, chiamare così non perché avesse un fisico da mezzasega, ma per umiltà nei confronti di due Dionigi grandi, anzi, grandissimi, quello detto l’Areopagita, e quello di Alessandria); il calcolo, si diceva, è sbagliato. Se è vera la storia di Erode e della sua strage di bambini, Gesù deve essere nato fra il 7 e il 4 avanti… Se Stesso, perché Erode muore, con molta probabilità, intorno al 4 a.C.
Bene: ormai non c’è una data a posto e non si sa più bene chi è nato e quando. L’unica cosa certa è che la Grande Festa di dicembre, in realtà, è un suggestivo, plurisecolare arruffìo di miti, tradizioni e calendari sballati.
Per cui, preso atto di questo, Buon Natale, gente!
Duccio Balestracci