Aspettando Natale. Santa Lucia: il curioso cammino folklorico di una martire

Le tappe che ci accompagnano verso la Grande Festa di fine anno si arricchiscono adesso di una nuova e molto importante scadenza del santorale folklorico: la celebrazione di Santa Lucia, il 13 dicembre

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Le tappe che ci accompagnano verso la Grande Festa di fine anno si arricchiscono adesso di una nuova e molto importante scadenza del santorale folklorico: la celebrazione di Santa Lucia, il 13 dicembre. Che cosa c’entra con le feste del Natale? Il percorso è un po’ lungo e indiretto e avremo bisogno di almeno due appuntamenti per strigare la sua relativa complessità. Armatevi di pazienza e seguiteci.
Cominciamo dalla santa celebrata dal calendario cristiano: chi era Lucia?
Secondo i repertori dei santi, era una giovane siracusana, nata forse intorno al 283 (coetanea del nostro Sant’Ansano, quindi, che si presume sia nato intorno a 284) e che vive, quindi, nell’epoca delle persecuzioni di Diocleziano. Figlia di Lucio ed Eutiche, quando già è stata promessa in sposa, la madre si ammala di una grave malattia e lei si reca in pellegrinaggio sulla tomba di Sant’Agata per impetrarne la guarigione. La santa catanese le appare in sogno e le chiede di pronunciare il voto di castità, in cambio della grazia richiesta. Lucia accetta e la madre guarisce. La giovane rompe il fidanzamento e si dedica all’assistenza dei poveri cristiani cercandoli nelle catacombe con (attenzione a questo particolare! Lo ritroveremo in seguito ed è importante) una lampada in capo. Il fidanzato, furibondo per essere stato lasciato, la denuncia come cristiana e Lucia viene imprigionata, processata e, alla fine, martirizzata. Qui si innesta il collegamento fra la figura della giovane siracusana e la protezione degli occhi che è considerato il suo principale attributo di santità. Secondo una leggenda, infatti, Lucia, per far recedere il fidanzato dal suo proposito di sposarla ad ogni costo, si acceca volontariamente (solo come curiosità, vale la pena di ricordare che questo gesto è strutturalmente presente anche in altri contesti culturali: nella letteratura indiana, in una collezione di poesie della prima tradizione femminile buddista, chiamata “Therigatha”, c’è un racconto simile. Una giovane si strappa un occhio per far desistere l’uomo che la sta insidiando e Budda in persona si incaricherà di risanarla rimettendoglielo a posto).
Secondo una leggenda diversa, invece, al momento di subire il martirio Lucia proclama “con il mio esempio toglierò ai non credenti l’accecamento della loro superbia”. La cecità metaforica, morale e religiosa, viene, quindi, come si vede, trasposta nella narrazione miracolistica sul piano della patologia reale. Tutte queste notizie si ritrovano in due testi, un “Martyrion” greco redatto fra V e VI secolo, ritrovato nel Seicento dal gesuita siracusano Ottavio Gaetani, e nel quale la giovinetta viene decapitata, e una (meno attendibile) “Passio” latina attribuibile, invece, al VI-VII secolo che la fa finire con la gola trapassata da colpi di spada (per inciso: nell’iconografia si troveranno raffigurate entrambe le morti).
La traccia storica della sua esistenza è, tuttavia, riconducibile solo ad un’epigrafe del IV o del V secolo (rinvenuta dall’archeologo Paolo Orsi nelle catacombe di San Giovanni a Siracusa, nel giugno 1894) nella quale un vedovo, devoto alla santa siracusana, aveva fatto scrivere che l’amata moglie Euskia era morta a soli 25 anni “nella festa della mia Santa Lucia”.
Quello che è certo è che papa Gregorio Magno (c.a 540-604) la inserisce nel canone della Messa e che a lei vengono subito intitolate chiese a Siracusa e a Roma. Il suo corpo resta a Siracusa fino all’VIII secolo, quando il duca di Spoleto lo porta in Abruzzo da dove, nel X secolo, il vescovo di Metz che scende al seguito dell’imperatore Ottone I lo preleva per portarlo nella sua città. Questo secondo una tradizione. Secondo un’altra, le reliquie di Lucia, nell’822, sono prese dal generale bizantino Maniace che le vuole, così, preservare dal pericolo che cadano in mano ai saraceni i quali stanno attaccando la Sicilia (che verrà effettivamente da loro conquistata, da lì a poco, con lo sbarco a Capo Granitola presso Mazara del Vallo nell’827 inaugurando un dominio musulmano sull’isola che durerà fino al 1072 quando i Normanni arrivano a Palermo). Da Costantinopoli dove le ha portate Maniace, le spoglie di Lucia arrivano a Venezia, quando i veneziani, nel 1204, conquistano la città sul Bosforo e la saccheggiano senza misericordia portandosi via tutto quel che riescono a stipare nelle loro navi. Così, Lucia riposerebbe sulla Laguna, in quella chiesa dedicata a lei e a San Geremia, costruita nel 1280.

Abbiate ancora un attimo di pazienza: prima di arrivare all’inserimento di Santa Lucia nelle feste di dicembre c’è ancora da seguire un (importante, proprio per capire qualcosa in questo senso) altro percorso. Quello legato agli occhi e alla luce. La leggenda degli occhi strappati e la qualità di protettrice di questi organi attribuita a Lucia non è precedente al Mille, e anche nell’iconografia pienamente medievale l’attributo della lampada (della quale si è fatto già cenno) precede quello del piatto con gli occhi della martire. Nel testo greco sopra ricordato, Lucia è definita “lampas”, lampada, e una lampada è, come si è detto, l’oggetto che la accompagna nelle sue opere di misericordia. Infatti, la rappresenta con la lampada Simone Martini nel polittico dipinto intorno al 1320, con un riferimento alla pratica della santa e, al tempo stesso, con una allusione all’immagine che nell’iconografia convenzionale rinvia al concetto di verginità saggia (ricordate la parabola delle vergini savie e delle vergini stolte che aspettano lo sposo con le lampade? Se ve la siete dimenticata, fate una capatina in Matteo 25).

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Gli occhi strappati, invece, non compaiono, nella pittura, prima del pieno Trecento, come testimonia il dipinto del nostro concittadino Pietro Lorenzetti per la chiesa fiorentina di Santa Lucia delle Rovinate, con la santa che ha in mano la lampada sopra la quale si intravedono appoggiati i suoi occhi. Per la precisione: la martire con gli occhi posati sul piattino è una rappresentazione che compare tra fine Trecento e inizio Quattrocento (si veda l’ opera del pittore conosciuto come Maestro del Polittico di Trapani, oggi al museo Abatellis di Palermo), anche se ancora in Cima da Conegliano (1459-1517), nel Polittico di Olera (realizzato intorno al 1486-88), è di nuovo la lampada l’elemento identificatorio della santa. Sarà solo in età post-concilio tridentino che l’accostamento Santa Lucia/occhi diventerà elemento costante e tradizionale. E’ un fatto, del resto, che il nome di Lucia è invocato, in certi contesti folklorici, soprattutto meridionali, nelle pratiche di medicina magica per curare le malattie agli occhi. In occasione della sua festa, non è raro trovare la tradizione dei piccoli pani a forma di occhi che vengono benedetti.
Soffermiamoci su quest’ultimo particolare, perché il pane benedetto è un elemento di notevole interesse. Il pane sacralizzato dalla benedizione rinvia infatti ad antichi culti agrari delle civiltà cerealicole del Mediterraneo (vale la pena di ricordare che Cristo, per offrire il proprio corpo durante l’Ultima Cena, spezza, appunto, il pane sacralizzandolo), ma se si vuole un’ulteriore prova di un’interessante commistione fra il culto di Lucia e il retaggio ancestrale di antichi culti pagani, basterà seguire una leggenda che la coinvolge e che non saprei ben dire quando elaborata. Durante una tremenda carestia che colpisce Siracusa già provata dalla pestilenza, quando non c’è nemmeno un chicco di grano da ridurre in farina, qualcuno vede in cima ad una torre l’immagine di Santa Lucia che accenna verso il mare. E infatti, da lì a poco, compare all’orizzonte una nave carica di frumento e di riso. Da allora, per ricordare il miracolo, nel Siracusano, nel giorno di Santa Lucia non si consuma né pane né pasta (ottenuti con la farina già macinata che al momento del miracolo mancava), ma gli arancini di riso e, soprattutto, la “cuccìa”, fatta con grano intero, cotto e condito con ricotta miele e vino. Il piatto tradizionale è, in realtà, un retaggio di un modo ancestrale di consumare il cereale.
Finora abbiamo visto che culture pre-cristiane e a-cristiane continuano, per così dire, a risucchiare Santa Lucia nella loro eredità, ma non abbiamo capito come la santa e la sua festa si colleghino alle feste di fine anno.
Ci arriviamo. Ma non adesso: alla prossima. Mica avete fretta, no? Non scuoce la pasta e non parte la postale.

(la seconda puntata dedicata a Santa Lucia sarà pubblicata il 13 dicembre)

Duccio Balestracci