Ad ottobre del 2014 apriva in Via di Camollia Cartazucchero, una libreria fra le più originali dell’intero panorama cittadino. Le proprietarie del locale sono le sorelle Belli – Elisabetta, laureata in storia dell’arte, e Maddalena, archeologa – che hanno da sempre avuto una forte passione per i libri e la lettura. Un anno e mezzo più tardi le abbiamo intervistate: ecco cosa ci hanno raccontato sulla loro nuova vita da libraie indipendenti.
Come nasce Cartazucchero?
“Nel 2009 abbiamo deciso di trasformarci in libraie, rilevando la storica libreria Ancilli. Dopo cinque anni di attività abbiamo deciso di aprire Cartazucchero: da un lato spinte dalla voglia di rendere la libreria luogo di aggregazione e di incontro, oltre che semplice negozio in cui avvengono scambi commerciali; dall’altro mosse dalla necessità di rilanciare l’attività di vendita dei libri usati attraverso un servizio parallelo di ristorazione e caffetteria. Molte librerie si riempiono di gadget e simili a contorno dell’attività principale, che ovviamente resta quella di vendere libri. Noi, invece, abbiamo scelto un’altra strada, offrendo la possibilità al lettore di potersi bere un caffè, una tisana o un aperitivo, oppure di passare la pausa pranzo in modo del tutto differente dal solito. Si tratta, in un certo senso, di una doppia anima”.
In particolare vi occupate della vendita di libri usati. Cosa c’è di diverso rispetto al “nuovo”?
“Anche se recentemente abbiamo inaugurato una sezione dedicata ai libri nuovi, ci concentriamo in modo particolare sull’usato. Le regole che seguiamo sono completamente diverse rispetto a quelle delle librerie tradizionali. Innanzitutto i titoli sui nostri scaffali variano continuamente, a seconda del periodo. Ci procuriamo i libri direttamente dai privati e l’offerta, di conseguenza, muta in base al materiale che ci viene proposto e che riusciamo a procurarci. Dopodiché inizia il lavoro di catalogazione, attraverso il quale, fra le altre cose, diamo un prezzo ad ogni testo, in quanto non ce n’è uno imposto”.
Perché questa scelta?
“Ci piace particolarmente l’idea che ogni manoscritto venga trattato come una vera e propria opera d’arte: il nostro lavoro, per alcuni aspetti, ricorda quello di un antiquario. Cerchiamo di assecondare le richieste dei lettori andando alla ricerca di libri su commissione, anche fuori catalogo, e attraverso spedizioni in tutta Italia e all’estero. Di sicuro non ci annoiamo e non finiamo mai di imparare”.
La vostra posizione, quella di libraie, è senza ombra di dubbio un punto di osservazione privilegiato che vi avrà permesso di comprendere a fondo numerose sfaccettature della società in cui viviamo. Alla luce dei preoccupanti dati che vedono i lettori in calo su scala nazionale, qual è il rapporto delle persone con i libri, in modo particolare con quelli usati?
“Sì, effettivament
Con gli stranieri invece come va?
“Noi italiani non siamo abituati ai ‘negozi misti’, ai cosiddetti concept store. Gli stranieri, al contrario, si mostrano sempre particolarmente interessati e capiscono subito di trovarsi in una libreria, nonostante sia disponibile anche un servizio di caffetteria e di ristorazione”.
E i senesi?
“Per quanto riguarda Siena, possiamo dire che la città è poco abituata all’usato: si tratta di un mercato che, addirittura, si è ulteriormente ristretto rispetto a qualche anno fa, sebbene anche all’epoca non potesse essere certo considerato florido. Dispiace, inoltre, che in molti guardino all’usato con sufficienza. Spesso le persone, quando si tratta di cercare qualcosa per un regalo, capita che ci chiedano cosa abbiamo fra le novità, ritenendo i libri di seconda mano qualcosa che vale meno, per il solo fatto che sono già appartenuti a qualcuno”.
Siena è ancora una città viva dal punto di vista culturale?
“È sotto gli occhi di tutti il fatto che la vivacità culturale della città di Siena non sia quella dei tempi migliori: basta guardare gli spazi pubblici e i negozi per rendersene conto. La nostra, qui, è sembrata un’idea rivoluzionaria, ma questo perché da noi le iniziative di questo tipo scarseggiano. Dando un’occhiata a Firenze si scopre che ce ne sono ben nove: si tratta, certo, di una realtà completamente diversa da quella senese, ma sono numeri significativi. Nel passato ci avevano provato la Sic di Via Pantaneto e la Cubalibro del centro commerciale PortaSiena, oggi purtroppo chiuse definitivamente. Ad ogni modo c’è da sottolineare come la crisi economica – e in particolare quella del mercato del libro – si faccia ancora sentire. Essere librai indipendenti significa viaggiare sul filo del rasoio, reggendosi su di un equilibrio precario”.
Giulio Mecattini
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