Intervista a Max Casacci, chitarrista e autore dei Subsonica, che racconta la sua esperienza nel supergruppo Deproducers e della passione per le piante, che stasera sarà protagonista ai Rinnovati
“Lascio i Subsonica per fare il giardiniere”. Questo potrebbe essere il titolo di un giornalista malandrino, leggendo la notizia della partecipazione di Max Casacci, storico chitarrista e autore della band torinese, allo spettacolo “Deproducers in Botanica”. In realtà, si tratta di un progetto di musica per conferenze scientifiche, realizzato insieme a Vittorio Cosma, Gianni Maroccolo e Riccardo Sinigallia, per un poker di autori-produttori incredibile.
Per la rassegna Rinnòvati Rinnovati, questa sera alle 21,15 “Deproducers in Botanica” verrà rappresentato al Teatro dei Rinnovati. Sarà un racconto sulle meraviglie del mondo vegetale, realizzato in collaborazione con l’azienda Aboca, e il professore Stefano Mancuso, tra i più importanti ricercatori botanici a livello mondiale. Il tutto supportato dalle videoproiezioni originali di Marino Capitano e scenografie di Peter Bottazzi.
Casacci racconta i perché e i percome di questa avventura musicale decisamente particolare.
Che cos’è “Botanica”?
«E’ uno spettacolo che non esiste in natura come equilibrio tra la parte musicale, quella di divulgazione scientifica e quella visiva. E’ una cosa completamente diversa dalle altre esperienze di scienza/teatro con la musica in sottofondo. Gli elementi sono amalgamati in una modalità originale. Sarà un’immersione nel vero senso del termine nell’universo vegetale. Scopriremo cose incredibili.
“Botanica” non è il vostro primo spettacolo di questo genere…
«Sì, c’è stato un precedente progetto dedicato all’astrofisica che faceva riferimento al nostro primo album, “Planetario”. Grazie alla costruzione di quello spettacolo, fatto con Fabio Peri, abbiamo preso un po’ le misure. Poi siamo passati a “Botanica”, che vuole approfondire un mondo ancora più incredibile di quello studiato dall’astrofisica. Quando esci da “Planetario”, alzi gli occhi al cielo e lo stupore è quello di sempre. Quando esci da “Botanica”, guardi con meraviglia persino una siepe. Non sappiamo davvero niente delle piante. Sono esseri dotati di coscienza».
Come nascono i Deproducers, questo supergruppo dedito alla musica per conferenze?
«Non siamo partiti subito con l’idea di fare musica per conferenze scientifiche. In realtà, io, Riccardo e Gianni abbiamo risposto a un invito di Vittorio Cosma, che voleva lavorare con alcune personalità musicale che riteneva stimolanti. Voleva vedere cosa sarebbe successo nel chiudere h24 quattro produttori-musicisti in un casolare. Tutti abbiamo risposto con molto piacere a questo invito, anche perché si parlava di fare musica in completa libertà. Come produttori abbiamo a che fare con il mondo delle canzoni. E’ un campo regolato da norme di funzionamento, che a volte sono un po’ rigide. Tutto quello che riguarda il respiro della musica, viene messo al servizio della canzone. L’idea di fare delle cose in assenza di destinazione, diciamo così, è una sfida che abbiamo raccolto molto volentieri. Da questo, è nata la necessità di integrare un elemento che non fosse la canzone. Abbiamo pensato alla scienza e abbiamo trovato come i dati scientifici abbiano spesso una valenza poetica al pari delle poesie o delle canzoni».
Stare accanto a due scienziati come Peri e Mancuso come vi ha cambiato? Cosa avete scoperto?
«In primis, abbiamo scoperto, e non è un caso, che sono entrambi musicisti! Fabio Peri, a cui pensavo di dover insegnare tutto della musica, una volta che registravamo le voci, mi ha guardato con occhi compassionevoli e mi ha detto: “Guarda che sono diplomato in pianoforte al Conservatorio”. Mancuso, invece, è un sedicente chitarrista blues, ma devo ancora sentirlo all’opera. Abbiamo trovato delle persone strepitose, molto affabili e disposte a entrare nei meccanismi, a volte complicati, di una band. Poi, non avete idea quanto sia bello fare un viaggio con uno scienziato e riempirlo di domande. Facciamo come i bambini, a Mancuso chiediamo il perché di qualsiasi cosa».
I musicisti sono più degli scienziati che hanno a che fare con una materia esatta o più degli stregoni che un po’ se la “inventano” e giocano con l’ignoto?
«Risponderei con le parole che ci ha detto una volta Fabio Peri: “Una volta, nell’antichità, la musica e la scienza erano la stessa cosa, erano perfettamente integrate”».
Quanto conta per un musicista contaminarsi con altri tipi di cultura e di forme d’arte?
«A mio avviso, la cosa più importante per un musicista, è non perdere lo stupore. Questo vale nei confronti della musica che fanno gli altri, ma pure di tutto ciò con cui questa può fondersi. E’ fondamentale mettersi sempre in gioco. Le sfide difficili sono quelle più stimolanti. Quando ci siamo messi a lavorare con le voci degli scienziati, volevamo assolutamente evitare di fare un audiolibro. Volevamo fare la differenza integrando gli elementi. “Botanica”, e il successo che stiamo avendo lo dimostra, coinvolge un tipo di pubblico trasversale, sia quello che ci conosce per i Subsonica, i C.s.i e così via, sia quello che non ci conosce, come i bambini e gli anziani».
Nella sua esperienza personale, qual è la cosa che l’ha stimolata di più?
«Un viaggio particolare che abbiamo fatto di recente per “Botanica”. Siamo andati nelle isole Svalbard, vicino al Polo Nord. Dal punto di vista musicale, è stata una delle esperienze più incredibili che mi sia mai successa. Siamo andati noi quattro, insieme a Stefano Mancuso, davanti alle porte del Global Seed Vault, il luogo che raccoglie tutti i semi alimentari del Mondo, a improvvisare con strumenti a pile, immersi nel silenzio glaciale».
Quali saranno i vostri prossimi progetti?
«Stiamo lavorando su un lavoro bizzarro che riguarda la genetica. L’obiettivo sarà quello di collezionare tante materie, così da creare una sorta di enciclopedia itinerante».
Emilio Mariotti