Il 18 dicembre del 1387 una delibera del capitolo del Santa Maria della Scala ci informa che tra i privilegi concessi da Papa Urbano VI all’ospedale c’è la liberatoria per una delle esposte la quale ottiene di potersi risposare “perché aveva uno marito paçço”. La donna si chiama Caterina ed è un esempio eloquente del tipo di patrocinio che l’istituto senese garantisce alle gittatelle che ha cresciuto. L’ospedale di Siena, il 3 luglio del 1380, aveva stipulato un contratto nuziale a nome della fanciulla con Francesco di Lippo di Calgasso, che abita a Pisa nella cappella di San Martino in Chinzica, e assegna all’esposta una dote molto alta: 400 lire. Francesco, per parte sua, si impegna come previsto dalla legge e il matrimonio viene celebrato nel reparto femminile dell’istituto alla presenza dei testimoni. Il neo sposo, dopo aver incassato almeno parte della dote, fa ritorno a Pisa senza condurre con sé Caterina tanto che il Santa Maria il 20 agosto incarica uno dei suoi oblati, Anibaldo di Bartalo, anche lui cittadino pisano, di raggiungere Francesco perchè venga a prendere la sua sposa. L’ambasceria evidentemente non ha l’esisto sperato e quasi un anno dopo, il 4 giugno 1381, il Capitolo delibera “che Anibaldo di Bartalo (…) vada di questa semana a Pisa a sue spese e truovi (…) Francesco da Pisa che prese per moglie una delle nostre allevate”; Anibaldo dovrà chiarire all’uomo i doveri che si è assunto verso l’ospedale e verso Caterina e convincerlo a “menarla a marito come debba” entro un termine stabilito dal rettore, altrimenti gli saranno addebitate “XXV lire de condapnagione”. Nel caso in cui Francesco non si dimostri disponibile l’oblato dovrà costringerlo a restituire tutto il denaro e i panni che hanno costituito la dote dell’esposta. Non è chiaro se Anibaldo sia stato coinvolto perché concittadino di Francesco oppure perché in qualche modo ha contribuito alla definizione delle nozze, magari favorendo i rapporti tra il pisano e l’ospedale (ce lo fa supporre il fatto che l’ospedale lo mandi a Pisa a spese proprie). Comunque la ricerca ci porta a conoscenza del fatto che Francesco è in prigione in quanto, davvero, è ritenuto pazzo, così questo 18 dicembre 1387 Caterina stessa “fa mandato di procura per comparire dinanzi all’Arcivescovo di Pisa come commissario di Sua Santità Urbano VI e produrre al medesimo la Bolla di già ottenuta (…) di poter fare il divorzio siccome fin dal tempo che ella contrasse col predetto Francesco il matrimonio era egli già pazzo”. L’ospedale si fa garante fino in fondo dei diritti di Caterina e il Capitolo stanzia la cifra necessaria all’esposta per recarsi, accompagnata da alcuni frati dell’istituto, al cospetto dell’Arcivescovo di Pisa. La vicenda si conclude solo nel novembre del 1388, quando nel corso una riunione capitolare si stabilisce “che Caterina (…) la quale fu maritata a Pisa el marito è in prigione per paçço e a si avuto conseglio che si può rimaritare che ella si mariti nonestante che altra volta le dote e diesele L lire e X soldi di donamenta come usança”. Sono trascorsi, comunque, otto anni.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti