Intervista al rapper ascolano Claver Gold, che domani si esibirà a Siena per l’ultimo appuntamento con la rassegna Rinnòvati Rinnovati
La grande città e la piccola realtà di provincia, la metropoli fatta di volti sconosciuti e la comunità dove conosci tutti e tutto, compreso quello che non piace sapere . Tanti che vivono da una parte vorrebbero essere dall’altra, e viceversa. Domani sera a Siena, in occasione dell’ultimo appuntamento con la rassegna Rinnòvati Rinnovati, si confronteranno la rabbia, le illusioni e le speranze di due luoghi così distanti eppure fatti di problemi simili: Roma e Ascoli Piceno.
Da una parte ci sarà Rancore, il rapper romano di origini egizio-croate che abbiamo apprezzato sul palco dell’ultimo Festival di Sanremo con Daniele Silvestri e la sua Argentovivo, dall’altra ci sarà l’ascolano Claver Gold, la cui cifra sta nei testi riflessivi, citazionisti e con un certo gusto per l’hip-hop degli anni ’90.
Il rapper marchigiano ci racconta cosa potremo sentire domani dalle 21.15 al Teatro dei Rinnovati.
Claver Gold, giovedì (domani, ndr) lei e Rancore vi esibirete sul palco dei Rinnovati con due show distinti. Cosa ci fa il rap a teatro?
«Il rap è un’espressione artistica come il teatro stesso o il cinema. Molti rapper hanno studiato interpretazione teatrale per aiutarsi nella mimica e nella gestualità. Clementino, per esempio, lo ha fatto. Il nostro rap poi si avvicina di più a un pubblico teatrale, perché non è aggressivo e non tratta temi solo underground».
Sarà la sua prima volta a Siena?
«No, ci sono già stato a suonare, mi sembra tre anni fa. Altre volte sono venuto come visitatore».
In passato lei e Rancore avete collaborato musicalmente. Sul palco dei Rinnovati vi vedremo duettare?
«Faremo il pezzo che abbiamo realizzato assieme».
Salirà sul palco con il dj oppure si presenterà con una band di strumentisti?
«La mia esibizione sarà alla vecchia maniera, con il dj».
Il suo ultimo album, “Requiem” del 2017, ha un sound oscuro e con molti riferimenti al rap anni ’90. Perché questa scelta?
«Secondo me si stava perdendo la tradizione del rap per com’era. Per questo abbiamo cercato di recuperare un sound classico, aggiungendovi qualcosa di nuovo, come le parti di batteria».
Nelle liriche dei testi di “Requiem” sembra ci sia una certa nostalgia per il vecchio mondo hip-hop…
«Non è nostalgia cattiva, è un buon ricordo di quello che è stato. E’ un omaggio a una certa epoca, senza la voglia però di riportare il rap indietro nel tempo».
Secondo lei, dove dovrebbe andare il rap del futuro?
«Il rap è come un albero. C’è il ramo principale, da dove veniamo noi, e poi ci sono tanti altri rami. Non c’è una direzione precisa che dovrebbe o prenderà. Adesso ci sono tanti filoni differenti di musicalità, è un momento un attimo confuso per il rap italiano e non saprei dire come si potrebbe trasformare in futuro».
Lo scorso fine settimana Siena ha ospitato il Festival della Lingua Italiana. Cosa significa per lei il nostro idioma e quali sono i vantaggi e le difficoltà nell’usarlo?
«Sono fiero di rappare nella mia lingua. A volte è utile usare i dialetti, come fanno molto i rapper napoletani, perché c’è più slang e ci sono tante parole corte. Queste possono aiutare nelle metriche e nella costruzione del brano. Secondo me alcune parole italiane sono difficili da usare in un pezzo rap, ma, come dimostrano artisti come Murubutu, niente è impossibile. A differenza dell’inglese, più essenziale, noi abbiamo tante parole per dire una cosa».
Lei è originario di Ascoli Piceno, un piccolo capoluogo di provincia come Siena. Qual è lo stato di salute di questi luoghi lontani dai centri nevralgici dell’economia e della cultura?
«Queste città le definirei più isolate che piccole, visto che ci sono centri relativamente grandi che sembrano metropoli in miniatura. Detto questo, a vivere in questi luoghi c’è sia il male che il bene. In una grande città ti perdi tutti quei particolari che puoi trovare in una piccola. Dipende tutto dagli spunti che cerchi. Se vuoi qualcosa di magico, lo puoi cogliere anche in una piccola cittadina».
Quali saranno i suoi prossimi progetti?
«Siamo in studio per completare un lavoro, dovrebbe uscire prima dell’estate».
Quale sarà la sua direzione musicale?
«Sarà diverso da “Requiem” e dagli altri miei lavori. Stiamo cercando di fare qualcosa di nuovo sia a livello di testi che di musiche. Anche alcuni argomenti che abbiamo trattato in passato saranno affrontati diversamente. Sarà una novità, speriamo bene».
Emilio Mariotti