La sua carriera nel mondo dello spettacolo è iniziata quando aveva tre anni e mezzo. Da allora ha venduto oltre sei milioni di dischi e le date dei suoi concerti continuano a fare sold out. A Sanremo c’è andata, ma da ospite. E’ un vero e proprio totem per tre generazioni di italiani, è bolognese, è Cristina D’Avena. Stasera, per il “Cartoon Carnival Party”, sarà alla discoteca Papillon di Monteroni d’Arbia. Per l’occasione abbiamo scambiato due chiacchiere con lei.
Qual è il segreto del suo successo?
«Penso che sia la coerenza, il fatto di non aver cambiato genere. Ho sempre creduto in questo “mondo” che faccio vivere attraverso le sigle. Il pubblico mi segue sì dal “Valzer del moscerino”, ma lo zoccolo duro viene dagli anni ’80».
Nel tempo come sono cambiate le sigle dei cartoni animati?
«Bisogna considerare che negli anni è cambiato tutto il panorama musicale. Con le nostre sigle cerchiamo un po’ di “cavalcare l’onda”, rimanendo, però, fedeli alla semplicità. La sigla deve essere una canzone orecchiabile, che ti deve entrare in testa e che ci deve rimbombare. Più è diretta e ripetitiva, specialmente il ritornello, più ti rimane. Alla fine noi ci adeguiamo ai tempi ma cercando sempre di piacere a tutti, grandi e piccini».
Nel 2016 è stata ospite al festival di Sanremo. Ha mai pensato di partecipare alla gara?
«Sinceramente non so se ci andrei. Sono una cantante conosciuta e affermata per quello che sono, ci dovrei riflettere sopra».
Ci dica, magari sottovoce, il titolo di una sua hit che le è venuta a noia…
«Magari mi dirà che non è vero, ma non ce n’è una. Non dico una bugia! Le sigle dei cartoni animati sono talmente gioiose che a cantarle mi ci diverto. Non mi annoio mai a ricantare per la milionesima volta “Kiss me Licia” o “Mila e Shiro”. Le metto nei mie concerti perché mi piacciono e vedo che con il pubblico funzionano. Quando noto che una canzone riceve meno attenzione, la metto fuori dalla scaletta per un po’ di date. Il pubblico comunque conta molto: se mi dimentico di cantare “Denver” me la richiedono, così “Rossana” od “Occhi di gatto”. Alla fine non sono io a fare la scaletta, quanto chi mi viene a vedere».
Invece quali sono le sue canzoni meno conosciute che le piacerebbe che venissero riscoperte?
«Più che meno conosciute direi che canto meno: “Nanà supergirl”, “Un incantesimo dischiuso tra i petali del tempo”, “Il mistero della pietra azzurra”, “Il grande sogno di Maya”, “Gemelli nel segno del destino” e “Una porta socchiusa ai confini del Sole”. Sono tutti pezzi molto particolari. Chiaramente la scaletta di un concerto non può essere fatta da 350 canzoni, quindi le cambio ogni tanto. I brani cult però li lascio sempre, perché non li posso non cantare».
Se fra tutte le sigle che ha interpretato ne dovesse scegliere una, quale indicherebbe?
«”Kiss me Licia”. E’ un pezzo che mi rappresenta, perché mi sento un po’ “liciosa”. Avendo poi interpretato Licia nel telefilm non smetterò mai di cantarla. Altre due che mi piacciono molto sono “Il mistero della pietra azzurra” e “Rossana”».
Cosa ne pensa dell’esplosione a livello numerico dei canali di intrattenimento per bambini?
«Da una parte sono contenta, perché magari possono arrivare nuove idee. Però ci sono troppi cartoni animati e i bambini non sanno più cosa guardare. Non si affezionano più al singolo cartone e al sua sigla. Il pubblico vuole guardare tutto e, così facendo, non vede niente. Si perde un po’ la magia così. Sarebbe più giusto se i cartoni venissero trasmessi solo su tre o quattro canali.
Ci sono poi dei cartoni animati che, per via del loro contenuto, non sarebbero proprio da far vedere ai bambini».
Un’ultima domanda, in vista della suo passaggio al Papillon di Monteroni d’Arbia. E’ mai stata a Siena e dintorni?
«No, infatti sono molto curiosa. Al Papillon ci divertiremo tanto, ve lo assicuro!».
Emilio Mariotti
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