Se ritornasse in vita un qualsiasi contradaiolo e si trovasse a veder passare il “giro” di una Contrada, resterebbe esterrefatto.
Se ritornasse in vita un qualsiasi contradaiolo di – poniamo – due secoli e mezzo fa e si trovasse a veder passare il “giro” di una Contrada, resterebbe esterrefatto. Quasi nulla potrebbe sembrargli simile a quelle onoranze ai protettori che, in occasioni particolari, la Contrada andava a rendere sotto le finestre di chi, a quella stessa Contrada, dava soldi e, appunto, “protezione” per qualsiasi necessità. Non ci si raccapezzerebbe, perché i protettori, allora, ogni Contrada li contava sulle punte delle dita (e forse qualche dito restava sfitto), mentre oggi qualsiasi tabulato di una qualunque delle diciassette ve ne enumera a migliaia. E non ci si raccapezzerebbe, il nostro contradaiolo di allora, perché ai suoi tempi si andava con poche (o una sola) bandiera, ma con torce accese e altri apparati di festa che sono ovviamente del tutto scomparsi oggi.
Se ritornasse in vita, invece, un qualsiasi contradaiolo di – poniamo – un secolo fa, resterebbe impressionato dalla composta coreografia che accompagna il “giro” oggi. Non potrebbe che confrontarla con quel “giro” della sua età, più casareccio; con un numero di bandiere e di tamburi incomparabilmente più piccolo; con alfieri e tamburini non necessariamente monturati, ma, non di rado, in “borghese”, con una coccarda o una fusciacca con i colori della Contrada sopra gli abiti civili. Resterebbe colpito dal fatto che oggi nessuno si azzarderebbe a fermarsi a bere da qualche parte che non fosse il tavolo appositamente apparecchiato da una Contrada per gli ospiti.
Si troverebbero – tutt’e due i contradaioli redivivi – a fare i conti con un rito serio, giustamente commisurato all’importanza dell’occasione nella quale lo si celebra: la festa del Santo titolare.
Per la verità, i cambiamenti radicali non sono relativi solo a quadri comparativi così remoti. Un alfiere che ha girato negli anni Sessanta, ad esempio, ha fatto un’esperienza già diversa da quella che fanno i ragazzi di oggi. Per dire: solo alcune contrade hanno mantenuto il cosiddetto “giro in campagna” (il quale già dalla definizione stessa si colloca su un imbarazzante piano subalterno rispetto al “giro in città”) che, invece, altre hanno abolito per impossibilità materiale ad onorare dignitosamente tutti i protettori residenti extra-moenia (e – a dirla proprio tutta – che immagine bruttina e mortificante quella di due tamburi e sei alfieri che scendono da un pulmino, fanno una frettolosa sbandierata davanti a una finestra, magari chiusa, risalgono e ripartono). Di conseguenza, anche le onoranze individuali intra-moenia sono quasi del tutto scomparse: non potendo omaggiare adeguatamente i protettori che abitano in periferie lontane, sarebbe stata una disparità di trattamento fastidiosa.
Ma non è nemmeno il solo cambiamento che un alfiere o un tamburino di cinquanta anni fa potrebbero riscontrare. Ogni Contrada girava con quanti monturati voleva. Anzi, più se ne facevano sfilare, più grande era l’immagine di forza. Oggi no: il minimo e il massimo dei monturabili è rigorosamente previsto dalle norme del Magistrato. Ancora: ogni Contrada, fino a non tantissimi anni fa, offriva un rinfresco a tutti i “giri” delle consorelle. Oggi, le disposizioni prevedono che si offra solo alle alleate; alle altre si può tutt’al più offrire una “bicchierata” al volo, ma la regola vorrebbe che non si andasse oltre l’acqua minerale e l’aranciata. I rientri di decenni e decenni fa, con qualche monturato, paonazzo per il caldo, la fatica e per qualche bicchiere di vino in più sono roba che esiste solo nel ricordo. Ci si è perso in spirito popolano, ma ci si è ampiamente guadagnato in dignità e compostezza del rituale.
Fino a cinquant’anni fa, infine, poteva succedere che alfieri e tamburini di una Contrada prestassero il loro servizio nel “giro” di una consorella meno popolosa. Archeologia del rituale paliesco. Oggi, in tutte le Contrade, il problema che si trova davanti un economo è opposto: come tenere testa alle recriminazioni di quelli che non sono riusciti a entrare nel numero dei monturati e che, inevitabilmente, piantano un lezzo che dura fino al “giro” dell’anno dopo.
Roberto Cresti
Maura Martellucci