Storie che si intrecciano, si fondono e danno vita ad altre storie. Il percorso che abbiamo seguito per raccontare il lungo viaggio dell’Elisire di Santa Caterina ci ha portati fino a Barberino Val d’Elsa, dove il liquore, prodotto esclusivo del territorio toscano, viene lavorato alla distilleria Deta. Ad accoglierci è Rubina Gianchecchi, nipote di due degli storici proprietari dell’azienda, per raccontarci qualche aneddoto in più sul misterioso infuso di erbe e per aprirci uno spaccato sul particolare e duro lavoro svolto dalla sua azienda.
L’Elisire di Santa Caterina ha una storia molto particolare, ricca di leggende…
“E’ un liquore medievale molto dolce e, come molti liquori di quel tempo, veniva usato per sopperire alla carenza di altri zuccheri, proprio grazie alla sua dolcezza. Del resto altri tipi di zuccheri erano difficili da reperire. Esso veniva consumato durante i pasti, un nutrimento al pari di pane e fagioli. Adesso, l’Elisire è prodotto unicamente qui e viene degustato per piacere”.
Come avviene il processo dagli ingredienti alla bottiglia?
“Si tratta di un’infusione di circa 25 tipi diversi di bacche e aromi. Viene tenuto in uno stato di fermo nell’alcol per 20-30 giorni, poi le bacche vengono tolte e si procede con il filtraggio. Per mantenere la natura del prodotto e per non danneggiarne il gusto, la filtratura è molto leggera e può capitare che restino residui, ma fa parte della sua genuinità. Dopo di che vengono aggiunti acqua e zucchero. Il modello della bottiglia si chiama ‘primula’, una classica bottiglia di vetro andata a sostituire quella in ceramica della prima produzione che aveva un costo molto più alto”.
Oltre all’Elisire, quali prodotti trattate?
“Principalmente vinacce, vini, fecce, grappe, brandy e acquavite fresca. Poi abbiamo la parte del liquorificio dove lavoriamo maraschino, vodka, limoncino, prodotti che arrivano dall’esterno. Lavoriamo molto con le aziende agricole”.
Avete rapporti commerciali anche con l’estero?
“All’estero non c’è molto interesse per i prodotti che derivano dall’uva per via del forte sapore, sono più richiesti prodotti da aggiungere ai cocktails come la vodka, molto più adatta ad essere mischiata ad altre bevande. La grappa, ad esempio, è prodotta unicamente in Italia ed ha una lavorazione molto complessa. Noi andiamo a lavorare la parte solida, si crea un vinello che poi viene distillato per dare origine alla grappa che ha una forte personalità, un sapore proprio, che va gustato senza altri ingredienti. Ultimamente i distillatori stanno creando un particolare tipo di grappa da cocktails che risponda anche alla domanda del mercato odierno”.
Il vostro è un mestiere antico e particolare. In termini di opportunità di lavoro?
“Il lavoro in distilleria è molto duro e richiede molta competenza. Facciamo turni giorno e notte e per questo non è molto ricercato. E’ davvero faticoso. Noi abbiamo 20 dipendenti e la maggior parte sono extracomunitari. In più, vi sono dei rischi come quello dell’alta infiammabilità dell’alcol con cui si lavora… A noi, per fortuna, non è mai successo nulla in tanti anni che siamo attivi”.
Come spesso accade per le aziende del territorio, ci sono radici importanti…
“La distilleria è stata aperta nel 1926, i primi proprietari sono stati gli Antinori di Santa Cristina. Poi la distilleria è passata al mio nonno paterno, che morì proprio sul lavoro, a causa di un filo elettrico scoperto. Lasciò mia nonna con tre figli e un’attività da mandare avanti. Subentrò così la famiglia di mia madre: mio nonno materno comprò la distilleria dopo che mia madre ebbe sposato uno dei tre figli della vedova. Si può dire, quindi, che la distilleria di oggi è frutto della fusione di due famiglie”.
Arianna Falchi
Emilio Mariotti