La festa dell’Assunzione della Madonna, il 15 agosto, fa parte integrante della storia della Chiesa: la tradizione (basata su un primo manoscritto etiope del IV secolo) afferma che Maria non muore, ma cade in un sonno profondo (“dormitio”; forse noi oggi lo potremmo definire “coma”) dal quale si risveglia per salire, con il corpo, in cielo. Per i cattolici è un dogma (sancito nel 1950 da Pio XII come risposta agli attacchi del razionalismo scientifico); per gli ortodossi e le altre chiese orientali è, comunque, se non un dogma, una tradizione recepita e condivisa; per gli anglicani e i protestanti (o almeno la quasi totalità di essi) invece è una lettura inaccettabile della storia della Madre di Gesù.
Come che sia, l’Assunta è stata sempre e dovunque celebrata con manifestazioni e con i giochi che, di regola, accompagnano ogni festa, compresi i “palii” (di qualsiasi tipo) disputati dappertutto. E, dove questi non c’erano, c’era chi pensava a come inventarli.
E’ ciò che succede a Palermo, dove, il 19 luglio del 1461, si stabilisce di introdurre la novità (così si legge, alla lettera) di festeggiare l’Assunta con un palio perché “per tucta Ytalia et quasi per tuctu lu mundo si costumi et observi che in alcuni festi principali di l’annu si currano palii”. E a tal proposito si fanno gli esempi, appunto, dell’Assunta, ma anche di San Giovanni (chiaramente con riferimento a Firenze) e “a la festa di sanctu Ambroxu”. Attenzione! Passaggio importante del documento: quest’ultima festa non si può riferire a Milano (dove, almeno fino a questa metà di ‘400, per Sant’Ambrogio non si corrono palii) ed è pertanto chiaro che i siciliani dell’epoca hanno presente una celebrazione che verosimilmente non si riferisce al patrono milanese bensì al beato Ambrogio Sansedoni senese, in onore del quale si corre un palio ricordato anche negli statuti cittadini e conosciuto dappertutto.
Nell’idea iniziale, il palio palermitano dovrà essere disputato da schiavi di colore per ricordare il miracoloso rinvenimento di una immagine della Madonna a opera di uno di essi (puntualmente convertitosi al cristianesimo dopo il fatto); essi dovranno gareggiare “nudi, senza camisa” e senza nulla in mano che possa ostacolare gli altri concorrenti. Seguirà un’altra gara podistica per corridori non di colore che potranno gareggiare anch’essi nudi o vestiti, come meglio gli parrà. Il terzo palio sarà una regata che si terrà il 16. Nell’idea iniziale dovrebbe esserci anche un palio di “iumenti” che, però, si capisce male se sia stato realizzato e in quale forma. Quello che ci interessa è, però, il fatto che fra tutti, quello che si manterrà fino al XIX secolo sarà proprio il palio dei “neri” (che progressivamente perderanno l’attributo di schiavi) e non per caso. Manifestazioni di questo genere costituiscono, infatti, riti di riconciliazione sociale: così come, nella sospensione del tempo ordinario sancito dalla festa, si fanno correre le prostitute o personaggi infimi della scala sociale, pro-tempore assimilati a tutti gli altri cittadini, altrettanto, per un giorno, si “promuovono” gli schiavi al livello di tutti gli altri uomini liberi. Il fatto che il premio riservato a chi vince la gara degli schiavi non sia per niente inferiore, in quanto a valore, a quello per chi vince le altre gare è lì a testimoniare che la festa religiosa (l’Assunta, in questo caso) è il pretesto per creare un provvisorio status di “democratica” uguaglianza. Destinato a essere risucchiato nell’ordinarietà delle gerarchie sociali, beninteso, con il ritorno all’ordinarietà del tempo usuale, non festivo.
Quello che ci interessa notare, però, è che questo palio viene “inventato” su imitazione di altri simili, a riprova di un articolato e vivace sistema festivo/ludico nazionale che si spia, si interpella e si riscrive guardando continuamente quel che c’è nel territorio italiano e traendo da esso idee nuove.
Del palio degli schiavi di Palermo hanno parlato studiosi siciliani. Chi sono e in quale contesto? Andate alle pagine 3-22 de “Il Palio di Siena. Una festa italiana” (edizioni Laterza) e ci troverete questo e altro: io non ne ho mica parlato per caso!
Duccio Balestracci