Edda è un musicista singolare. Uno che ha avuto successo, ottenuto nei primi anni ’90 con i Ritmo Tribale, e che poi lo ha rifiutato. Di netto, per fare altro, anche il manovale. E poi, giorno dopo giorno, tutto è ricominciato, e la musica è riniziata a fluire.
Sono passati dieci anni dal ritorno sulle scene del musicista milanese e tante cose sono cambiate. Una per tutte: la musica. “Fru fru”, l’ultimo album di Edda (all’anagrafe Stefano Rampoldi), è infatti più danzereccio e pop degli altri due dischi. Per scoprire gli altri cambiamenti nel microcosmo del cantante, l’appuntamento migliore non può che essere il concerto di stasera sul main stage della Fortezza Medicea per Vivi Fortezza.
Edda, cosa sentiremo nel concerto in Fortezza?
«Presenterò il mio ultimo album, “Fru fru”. Con la band faremo tutte le canzoni del disco, più qualcosa del passato».
Sarà la sua prima volta a Siena?
«Si, non ci sono mai venuto a suonare. Sono passato per altri motivi. Chi è che non è mai stato a Siena? È molto bella e mi fa piacere suonarci».
Il suo ultimo album, rispetto alle opere soliste precedenti, presenta, da una parte, sonorità più leggere, più pop, dall’altra, testi maggiormente provocatori. Questa ambivalenza è voluta?
«Più che altro stavo cercando una linea musicale che si adattasse di più a quelle che sono le cose che mi piacciono. Per quanto riguarda i testi, questo è il mio modo di scriverli, non è stato tutto ragionato a tavolino. Mi viene tutto molto spontaneo, non vedo perché cambiare».
Quando nasce un album, quanto questo rappresenta l’umore di un periodo?
«A volte rischi di scrivere canzoni che poi ti porti dietro, magari apprezzate dal pubblico, non essendoci più legato. Per “Fru fru” ho cercato di creare qualcosa che penso mi possa piacere suonare anche in futuro. Queste canzoni mi danno la giusta sensazione, mi fanno stare bene, per questo presumo che mi possano rappresentare nel tempo. Comunque è sempre un terno al lotto, mentre scrivi il disco non lo puoi sapere. La prova del nove è il live».
Per un periodo della sua vita lei ha fatto altro, non il musicista. Quanto di quel lasso di tempo ha influito sulla sua carriera solita?
«Quando ho smesso di suonare, l’ho fatto fino in fondo, dedicandomi ad altro. Dopodiché, piano piano ho riniziato, prima in situazioni private, poi in pubblico. Sia quando ho smesso, sia quando ho rincominciato, i processi sono stati del tutto naturali. Mi sento più a fuoco adesso di quando ho iniziato, anche se le cose fatte con i Ritmo Tribale sono belle. Mi sembra di aver fatto un po’ di strada, mi preferisco ora ecco».
Visto che è milanese, secondo lei esiste una musica da grande città e una dei piccole realtà di provincia?
«Non lo so, quello che posso dire riguarda la mia esperienza personale. Quello che ho creato con i Ritmo Tribale l’ho fatto da cittadino, a Milano. Da Edda, da solista, è nato tutto in paesi di provincia come Arona o Bibbiena, dove abito adesso. Sicuramente essere in una metropoli o in una piccola città condiziona la creatività, ma non so in che termini».
Riprendendo il filo dei “periodi della vita”, che musica sta ascoltando adesso?
«Mi sono avvicinato a sonorità pop anche per via degli ascolti ho fatto. Io sono del ’63, quindi ho passato tanto tempo della mia infanzia ad ascoltare la grande musica leggera italiana. Volente o nolente, quella musica mi ha influenzato, e io mi ci trovo bene. Apprezzo più i Matia Bazar dei Clash, anche se la band di Strummer e soci mi piace tantissimo, “Londo calling” su tutti».
Quali saranno i suoi prossimi progetti?
«Ho alcune canzoni pronte che mi piacciono molto, voglio fare un altro disco. Così come un muratore vuole fare una casa, così il musicista ha il bisogno di comporre canzoni. Non tanto per un discorso economico, ma perché è il tuo punto d’arrivo. Porterò avanti la tournée fino alla prossima primavera, poi penserò all’album. Intanto queste canzoni che ho me le suono. Le lascio rosolare, perché, se non hai fretta, il tempo è sempre un ottimo consigliere».
Emilio Mariotti
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