A proposito del Monumento ai caduti dell’Indipendenza e guardando la bella figura di donna che impersona l’Italia molti si sono, forse, domandati chi fosse la modella. Dietro questa stata c’è una vicenda bellissima e ce la racconta il pronipote della modella (anzi delle modelle).
Emma o l’Indipendenza Italiana. La storia della modella del Sarrocchi raccontata dal bisnipote Francesco Burroni
Quella statua dell’Indipendenza, trasferita negli anni ’60 dall’omonima piazza verso i più anonimi giardini di San Prospero, ha per me qualcosa di molto familiare: la modella che posò per Tito Sarrocchi per quella scultura era infatti la mia bisnonna Gemma Inglesi, che tutti chiamavano Emma, anzi a dire il vero il braccio destro che sorregge la corona di alloro è di sua sorella Mentana perché al Sarrocchi il braccio di Emma appariva troppo esile per rappresentare qualcosa di così importante come l’Indipendenza Italiana.
Emma era nata in Fontebranda il 21 Dicembre del 1866, da famiglia di antica tradizione ocaiola (lei ricordava a memoria 5 o 6 generazioni precedenti) e non faceva la modella di professione, diciamo che era una tradizione di famiglia in quanto sia suo padre che molti sgrascini , gli operai dei macelli di Fontebranda, erano soliti arrotondare i miseri salari di allora posando per gli allievi dell’Istituto d’Arte o per qualche singolo scultore.
Le notizie biografiche potrebbero finire qui se non fosse che Emma ebbe una vita fortemente travagliata soprattutto a causa del suo carattere decisamente indipendente come la scultura che ora rappresenta.
All’epoca fece infatti grandissimo scalpore il suo innamoramento e successivo fidanzamento con Alfredo Vetturini che oltre che essere un bel ragazzo – lo chiamavano il bell’Afredino – e suonare bene la tromba aveva la peculiarità di essere della rivale Torre.
Oggi questi accoppiamenti tra fidanzati appartenenti a Contrade rivali (per la verità tra Oca e Torre statisticamente molto frequenti) provocano al massimo qualche malumore o qualche lite per battezzare i figli in questa o quella Contrada ma allora le cose erano un po’ diverse anche in considerazione del fatto che Emma, essendo considerata tra le più belle del rione, aveva in loco molti spasimanti i quali non furono molti soddisfatti che la bella giovane finisse addirittura in… mani nemiche.
Si narra quindi di visite segrete del bell’Alfredino in casa di lei in Fontebranda e anche di una fuga precipitosa per i tetti la volta che fu scoperto e che tutti gli sgrascini dei macelli circondarono la casa armati dei non piccoli coltelli con i quali squartavano i bovi.
Alfredo poi ci mise del suo per farsi odiare ancora di più dagli ocaioli: mise infatti incinta Emma e divenne uccel di bosco per un bel po’ di tempo. Tre anni dopo, pentitosi del misfatto, convolò a giuste, e in questo caso decisamente riparatrici, nozze. Si racconta di una discussione tra Emma e il suo primogenito, il mio nonno Vasco, nella quale lei lamentava lo scandalo di “queste ragazze di oggi che si sposano quando so’ belle’ incinte”, al che Vasco gli rispose “Mamma, ma io al tuo matrimonio ti ho portato i fiori…”:
E così parrebbe finire tutto a tarallucci e vino. Niente affatto! Una volta stabilitasi la famiglia nel vicolo del Tiratoio, proprio accanto a dove all’epoca era la stalla dell’Oca, Alfredo si dimostrò di una gelosia a dir poco maniacale: Emma non poteva uscire di casa e le persiane dovevano rimanere sempre chiuse. Solo alla Domenica alla povera moglie era consentita una scampagnata con una carrozza che veniva a prendere la famiglia al portone di casa. Nel frattempo oltre a Vasco erano nati altri due figli: Ines e Nello.
La famiglia non era povera, considerando i tempi, ma certo non si viveva nella ricchezza. Mio nonno Vasco raccontava che i due fratelli possedevano solo una camicia, nel senso una per tutti e due, e nei giorni di festa c’era la corsa a chi si alzava per primo per mettersi quell’unico bene prezioso. All’ altro non restava altro che la classica soluzione di riserva: colletto e polsini finti ritagliati nel cartoncino Bristol.
La situazione familiare pareva in qualche modo essersi stabilizzata quando Alfredo, come già detto ottimo suonatore di tromba, scompare improvvisamente da casa per andare a giro per il mondo a suonare nelle orchestre di opera lirica. Scriverà un po’ di tempo dopo dal Sudamerica per dire che lui stava bene e che intanto avrebbe cominciato a mandare un po’ di soldi a casa.
Si rifece vivo dopo quattro anni. Quando morì, mia mamma ricordava una conversazione con Emma circa la raccolta di manifesti che Alfredo aveva portato in ricordo delle sue tournées: “Guarda nonna qui c’è una firma con dedica: Arturo Toscanini, o chi sarà?” “ Ma che ne so… butta via tutto tanto ‘un vale niente!”.
Un altro simpatico ricordo di mia mamma era il cinema. Le poche volte che c’erano i soldi per andare Emma portava mia mamma ancora piccola alla prima proiezione del pomeriggio e lì restavano, armate di merenda e cena, fino alla fine delle proiezioni a mezzanotte, lamentandosi spesso con i gestori del cinema perché magari avrebbero anche potuto fare una proiezione in più. Il cinema non toccava tutti i giorni e così chi ci andava raccontava poi per giorni e giorni agli amici per filo e per segno la trama, i dialoghi ecc..
Si dice che Emma, oltre che bella, fosse anche molto energica. Durante il pranzo di nozze del figlio Vasco con Bruna Taddeucci , lupaiola, lo sposino rovesciò per disattenzione un bicchiere di vino sulla tovaglia: “O Vasco stacci un po’ino attento!” sbuffò Emma “Oh… senti mamma, oggi mi sposo e fo come mi pare!” “Niente affatto anche se ti sposi se’ sempre il mi’ figliolo!” e verga un ceffone davanti a tutti gli invitati.
Ma ovviamente oltre che energica era anche molto affettuosa. Siamo durante la prima guerra mondiale e Vasco è a combattere sul fronte austriaco con nessuna possibilità di tornare a casa per una licenza. Allora, come pare facessero in molti, per facilitare la pratica si fingeva la malattia di un parente stretto con conseguente visita fiscale. Mia nonna, che naturalmente era in perfetta salute, era in casa verso mezzogiorno a mangiarsi una bella zuppa di fagioli ma il medico, atteso per il primo pomeriggio, arrivò invece inaspettatamente a quell’ora e la donna corse di filata a mettersi a letto per fingersi malata, ma tanta fu la fretta che la zuppa di fagioli le andò completamente a traverso e cominciò così un lacerante e soffocante singhiozzo tanto che il medico, affacciatosi all’uscio di camera commentò: “Questa ‘un la visito nemmeno, si vede chiaramente che cià poco a mori’!”. E così Vasco venne in licenza. Quando ritornò sul fronte fu fatto prigioniero dagli austriaci che lo vittavano solo a bucce di patate crude. Poi siccome lui dava una mano a pelarle, la Domenica poteva averle cotte, non le patate ovviamente ma solo le bucce. Quando finì la guerra e Vasco si ripresentò alla porta di casa in vicolo del Tiratoio, sfinito da battaglie, fame e pidocchi, dimagrito della metà e con barba e capelli da barbone Emma non lo riconobbe.
In quella casa Emma visse tutto il resto della propria vita facendo la sarta, nello stesso portone abitava Assunta Pulcinelli, la mitica Sunta di Fontebranda, e i suoi figli erano di casa e di bottega da Emma, specialmente Nevio che fu quasi rallevato da lei. La sua casa era sopra il forno e d’Inverno non si pativa mai il freddo e soprattutto non mancava mai un piatto di minestra. Emma se ne andò nel 1953 lo stesso giorno in cui era nata: il 21 Dicembre, solstizio d’Inverno. Dal primogenito Vasco nacquero Marì e Marino (capitano dell’Oca nel 1976) e da Marì è nato nel 1952 l’autore di questo racconto.