A Monticchiello con la “Palla Avvelenata” l’ultima creazione del Teatro Povero

Continuiamo pure a chiamarlo Teatro Povero, ma povero non è – inteso come cultura e ricchezza di idee – perché dopo 46 anni un paese intero partecipa ancora appassionatamente alla ricerca drammaturgica per tessere ogni anno la trama di uno spettacolo nuovo. Una “tradizione sperimentale”, come la chiamano loro, che nel tempo gli ha dato fama e prestigio. E’ di quest’anno l’assegnazione del Premio UBA 2012, alla Compagnia Teatrale di Monticchiello, e il non meno importante Premio Hystrio, dall’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro: riconoscimenti che, ancor più, servono a tenere unito un intero paese alla realizzazione di spettacoli di grande levatura culturale. “Palla Avvelenata” ha preso il via sabato sera nella splendida cornice di piazza della Commenda, e sarà replicata fino al 14 agosto. Gli attori, come vuole la tradizione, sono anonimi cittadini che da gennaio si riuniscono per la realizzazione dello spettacolo per discutere i possibili temi, formare le scalette, scrivere il copione e infine salire sul palco a recitare lo spettacolo, che tanto hanno pensato. “Palla avvelenata” è la loro ultima creazione e come tutti i copioni scritti dalla Compagnia di un paese che vive su tanti ricordi, interseca abitualmente presente e passato: l’uno per evidenziare la peculiarità del mondo in cui viviamo. L’altro perché le giovani generazioni tengano viva la storia di chi nel tempo l’ha preceduti. Quindi la narrazione legata all’avidità del mondo attuale si alterna alla favola di Capriano e sua moglie Gesua: poverissimi contadini oppressi dal potere da scaltri commercianti, che però con la loro astuzia riescono a gabbarli. La favola di Capriano e Gesua, per i suoi divertenti imbrogli costruiti su credibili bugie, e tutto quello che succede dopo, con lo scopo di sconfiggere il potere dei tre speziali che intendono imporre il prezzo più basso ai prodotti del contadino, paiono pagine uscite dalle divertenti commedie di George Feydeu. Così Gesua s’inventa la pentola di coccio che bolle l’acqua senza fuoco e Capriano riesce a venderla a un prezzo altissimo a i tre speziali che prevedono farci affari d’oro. Quando si accorgono di essere imbrogliati e vogliono punire il contadino con grossi bastoni, Capriano se ne inventa un’altra e tira fuori una trombetta che fa risuscitare i morti, servendosi dell’abilità di Gesua a morire e risuscitare al suono dello strumento. Per la seconda volta gli uomini del potere, dominati dall’avidità di fare soldi, comprano anche quella per una cifra altissima e anche questa volta rimangono gabbati perché al suono della trombetta, le persone che hanno ammazzato non risuscitano affatto. La morale di tutta questa assurda storia è detta alla fine della “Ballata di Capriano”che dice….” Il mostro del potere è pronto a governare il mondo e non cantiamo vittoria se qualche volta inciampa, perché il grembo da cui nacque è ancor fecondo”.