Intervista a Francesco Bianconi dei Baustelle. Il musicista racconta della sua vita da studente a Siena, in vista del live di venerdì in Piazza del Campo
E’ stato uno dei primi laureati in Scienze della Comunicazione a Siena e se lo ricorda bene. Francesco Bianconi da Montepulciano, classe ’73, sarebbe potuto diventare un illustre semiotico o un anonimo giornalista e invece ora ce lo ritroviamo come cantante e autore di una delle band più importanti nel panorama italiano, i Baustelle. Venerdì, con i suoi colleghi del gruppo, chiuderà con un concerto in Piazza del Campo la Notte dei Ricercatori e il tour “L’estate, l’amore e la violenza”. Non mancheranno, oltre alle canzoni del nuovo album “L’amore e la violenza” e a molti classici baustelliani, anche cover speciali. Sul palco, oltre a Bianconi (voce, chitarre, tastiere), Claudio Brasini (chitarre) e Rachele Bastreghi (voce, tastiere, percussioni), ci saranno Ettore Bianconi (elettronica e tastiere), Sebastiano de Gennaro (percussioni), Alessandro Maiorino (basso), Diego Palazzo (tastiere e chitarre) e Andrea Faccioli (chitarre).
Bianconi è pronto per l’occasione speciale che lo riporterà in quella Piazza dove tante volte ha passeggiato da studente.
Venerdì suonerete a Siena, una città che, soprattutto per lei che ci ha studiato, non vi è indifferente. Da studente se lo sarebbe mai immaginato che un giorno avrebbe suonato, che avrebbe chiuso un tour in Piazza del Campo?
«Direi di no, magari ci speravo visto che ai tempi dell’Università già suonavo. Per me, quella di venerdì, è una chiusura tour importante. E’ un concerto molto significativo perché comporta il fatto di suonare a casa e di farlo in quella Piazza sulla cui bellezza cui c’è poco da aggiungere. E’ un ritornare a un periodo in cui ho vissuto in città, a Siena. Sarà emozionante, credo».
Quanti momenti della sua vita universitaria sono diventati poi musica e parole?
«Tanti, gran parte delle canzoni del primo disco, Sussidiario illustrato della giovinezza, fanno riferimento a cose successe a Siena e in parte a Montepulciano. Tenete conto che la gran parte dei brani di quel disco, uscito nel 2000, era stata scritta molto tempo prima, verso il ’95 prima che mi laureassi. In quell’album ci sono io studente universitario, c’è Siena.
Lei è nato e cresciuto a Montepulciano, un paese nella provincia di una città comunque provinciale come Siena. Cosa significò per lei venire a studiare qui?
«La provincia, mi viene da dire, è una condizione dello spirito più che una questione amministrativa. Nella mia vita, sono passato da una provincia-campagna a una provincia-città e adesso vivo a Milano, che, pur essendo un po’ la New York italiana, ha ugualmente la sua parte provinciale. L’aver passato la giovinezza in posti in cui l’essere provinciale ti ha tenuto imbrigliato e non libero come avresti voluto, visto adesso dall’alto dei miei quasi quarantacinque anni, credo che sia stato un vantaggio. Perché ti forgia, è come essere “vaccinato”».
Il vostro concerto chiuderà la Notte dei Ricercatori. Quant’è significativa la ricerca in ambito musicale e come si può conciliare con ciò che c’è già?
«Secondo me, ci sono alcuni mestieri creativi come quello del musicista che non possono non essere legati alla ricerca. Si può essere sperimentali anche facendo delle canzoni di musica leggera. Per me non esiste mestiere creativo che non preveda la ricerca. Ultimamente sto sentendo brani di musica leggera dove non c’è una ricerca alla base».
La musica leggera ha dei confini e degli stilemi ben definiti. Quant’è importante saper “giocare” all’interno dei limiti?
«”Giocare” è la parola giusta. Quando ci sono dei cliché, puoi “giocare” a romperli facendo finta che non li stai rompendo. Gran parte della musica pop rivoluzionaria del Novecento, per esempio le canzoni dei Beatles, non è altro che il prodotto di un lavoro su codici preesistenti rielaborati e rimaneggiati. Prendi il blues, prendi la “canzonetta”, prendi altre cose e li rimpasti in maniera originale. Bisognerebbe ripartire dai Beatles, per esempio».
Lei si è laureato con Omar Calabrese. Qual è il suo ricordo di questo professore che ha segnato l’Ateneo senese?
«Ne ho un ricordo molto bello. Era una persona che ammiravo e che mi ha insegnato tanto. Può sembrare banale, visto che era un professore. Ma non è così automatico; ho avuto insegnanti all’Università o anche prima che hanno provato a insegnarmi qualcosa ma che non mi hanno lasciato nulla. Calabrese no, lui mi ha dato molto».
Cosa farete dopo la conclusione del tour?
«Ci prenderemo un po’ di riposo che male non fa, ma non troppo».
Emilio Mariotti