Proprio muovendo dall’originalità della costruzione delle pagine e dei contenuti di questa piccola, ma densa pubblicazione, i due scrittori sono riusciti, in un abile gioco tra storia e finzione, a far emergere il senso della tragica fine di Marina Cvetaeva (1892-1941), una delle voci più originali, per ricerca espressiva e sperimentalismo linguistico, del Novecento russo. La personalità estrosa e godereccia di Guillaume Apollinaire (1880-1918), esagerato nella vita come, con genialità, nella scrittura: basti pensare al suo “ideogramma lirico”, dove vengono sfruttate le possibilità figurative dei segni verbali. Rodolfo Wilcock (1919-1978) con la sua visione crudele e tenera del mondo e anche del ricordo, capace di suscitare in lui al contempo un sentimento dolce e amaro. Costantino Kavafis (1863-1933), uno dei maggiori poeti neoellenici, che dette voce all’amore omosessuale e alla paura di invecchiare. La figura di Anna Achmatova (1889-1966), descritta attraverso il legame sentimentale che la unì a Amedeo Modigliani nella Parigi primonovecentesca. Per giungere, poi, a quella felice sintesi tra rappresentazione del mondo esterno al soggetto e del mondo interiore, che caratterizza la lirica intitolata Le cose di Jorge Luis Borges (1899-1986). E, ancora, gli accenti di grande autenticità di Thomas Hardy (1840-1928); il genio poetico di Iosif Brodskij (1940-1996), vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1987; le poesie d’amore di Nazim Hikmet (1902-1963), perseguitato politico e imprigionato in Turchia, per il quale si mobilitò l’intero mondo della cultura parigina, capeggiata da Picasso e Sartre. Da ultimo, la figura di Rainer Maria Rilke (1875-1926), straordinario esploratore delle forme espressive e vertice della lirica novecentesca.
Francesco Ricci e Silvio Ciacci, con questa pubblicazione, hanno contaminato in una felicissima sintesi saperi diversi e comuni passioni, scavando dentro la vita di questi dieci grandi poeti. <<Ci siamo soffermati – ha detto Ricci – sul legame che sussiste in loro tra vita, vissuto e produzione artistica. La loro opera, infatti, parla di un bilancio, anche doloroso, della propria esistenza, che questi scrittori a un certo punto hanno fatto, per riconoscere e realizzare quello che era il proprio compito ineludibile della loro vita>>.
Confrontarsi con questi dieci snodi fondamentali della poesia novecentesca, dunque, aiuta a crescere, a interrogarsi, come ha evidenziato Ciappi, <<a non lasciare chiusi, almeno non a chiave, i “ripostigli” dell’esistenza, le feritoie dell’anima, che servono per guardarci dentro>>.
E grazie alle sentite letture di alcuni brani e poesie ad opera di Marta Pisillo, è risultata chiara, anche, l’importanza accordata da questi autori alla ricerca delle parole, delle pause, del non detto, dello stravolgimento del lessico, finalizzati a fare emergere l’essenza nascosta delle cose, la forza dei sentimenti, dei dolori, di tutto quello che non si mostra, perché non sempre è mostrabile.
Francesco Ricci e Silvio Ciappi, destreggiandosi con maestria tra Jung, Freud, i classici greci, la filosofia di Severino e quella di Nietzsche, ma anche la musica di Miles Davis e John Coltrane, e, ancora, la pittura di Pizarro e Cézanne, hanno spiegato, affascinando il pubblico, la carica semantica che si cela nelle parole dei poeti, capaci tanto di rappresentare la realtà esterna al soggetto quanto di dare voce ai fantasmi e ai mostri dell’interiorità più riposta.
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