In occasione della Giornata della memoria 2014, su Canale 3 Toscana, SienaTv, Teleidea e Tv9 sarà trasmesso il documentario “Novembre 1943:accadde anche a Siena”, realizzato dal giornalista senese Juri Guerranti grazie al sostegno della Provincia di Siena. Nel filmato si racconta la terribile vicenda che 70 anni fa vide come protagonisti 15 ebrei senesi, catturati in città dalle milizie fasciste e condotti nel lager nazista di Auschwitz, dove troveranno la morte. E’ lo stesso Guerranti, di seguito, che ci racconta la loro storia.
L’8 settembre ‘43 il regno d’Italia guidato dal maresciallo Badoglio, subentrato al defenestrato Benito Mussolini all’indomani del gran consiglio del fascismo del 25 luglio, firma l’armistizio con gli angloamericani. Subito, le truppe tedesche, ex alleate dell’Italia, occupano gran parte della Penisola. Il re Vittorio Emanuele III terzo fugge in Puglia e il duce viene liberato dai tedeschi dalla prigionia sul Gran Sasso. Di lì a poco, risorge il fascismo con Mussolini che dà vita alla repubblica di Salò, stato fantoccio alleato dei nazisti. Anche Siena, come tutte le altre città toscane, viene occupata dai tedeschi e amministrata dai fascisti che poco dopo cominceranno a dare la caccia ai partigiani che combattono per la libertà. Il fascio repubblicano locale si organizza e nell’ottobre ’43 diventa capo della provincia il professor Giorgio Alberto Chiurco, un fascista della prima ora che alla fine degli anni Trenta era giunto con pseudo-ricerche scientifiche a tesi generali sulla sanità delle razze dell’impero italiano.
Poche settimane dopo la nascita della Repubblica sociale italiana, anche Siena conosce una delle pagine più buie della storia dell’umanità: la deportazione e lo sterminio di innocenti. La piccola comunità israelitica senese – nemmeno 200 anime -, con la sua sinagoga a due passi da piazza del Campo, è presente in città da secoli ed è ben integrata nella vita cittadina anche perché molte famiglie gestiscono negozi, soprattutto nel settore dei tessuti, delle confezioni e dell’oreficeria: assai a contatto quindi con il resto della popolazione.
Nell’autunno ’43 gli ebrei senesi hanno già conosciuto la persecuzione: dal ‘38 infatti, dopo l’emanazione delle vergognose leggi razziali, volute dal fascismo e firmate dal re, la loro vita è cambiata: ad esempio non possono più frequentare le scuole pubbliche, svolgere la quasi totalità delle professioni, spostarsi liberamente…
Lo stato fascista antisemita – che riconosce a qualcuno lo status più favorevole di discriminato, riservandogli così un ammorbidimento dei divieti – emargina migliaia di persone, teorizzando una superiorità della razza italiana, e dedicando un’attenzione maniacale alla questione razziale, come dimostrano le centinaia di documenti e di circolari nell’archivio della prefettura senese che trovate nel mio documentario.
Durante le prime settimane della neonata Repubblica fascista di Salò, che considera gli israeliti come nemici della patria, la questione ebraica è già all’ordine del giorno. Dopo la massiccia retata del 16 ottobre a Roma, all’inizio del novembre ’43, su impulso dei tedeschi, non mancano arresti a Bologna, Firenze, Montecatini Terme e appunto Siena.
Venerdì 5 novembre le scuole non sono ancora state riaperte e le prime pagine dei giornali parlano delle notizie dal fronte di guerra e, sul piano locale, delle modalità per la distribuzione del grano alla popolazione. Per alcuni ebrei senesi queste saranno le ultime notizie lette. Infatti, nella notte tra il 5 e il 6 novembre ’43, oltre 20 persone, tra cui bambini ed anziani, vengono arrestate da componenti della milizia fascista. Qualcuno sarà rilasciato, gli altri saranno consegnati ai nazisti.
Di questi arresti è rimasta traccia nelle carte della Questura, dove un impiegato o un maresciallo di pubblica sicurezza, attestano, a posteriori, quanto accaduto il 5 novembre a Siena. In diversi casi scrivono che un determinato soggetto è stato arrestato e poi rilasciato. Queste persone sono scampate alla deportazione…
Se da una parte c’è chi viene rilasciato, perché considerato ad esempio ebreo misto, dall’altra c’è chi, invece, viene trattenuto. Quasi 20 persone passano la notte del 6 novembre all’interno della caserma di piazza d’Armi, in attesa di essere trasferite, il giorno seguente, a Firenze. La quasi totalità di loro non rivedrà mai più Siena perché ‘trasferiti in altra località’: queste sono le parole che leggiamo nei documenti relativi all’arresto. Chi scrive forse non sa che ‘altra località’ significa viaggio verso la morte.
La responsabilità della Shoah è da attribuire ai tedeschi che misero in atto la cosiddetta ‘soluzione finale’ in tutta Europa uccidendo milioni di innocenti. Ma anche gli italiani hanno in parte contribuito a questo sterminio di massa collaborando assai attivamente con i nazisti. Il caso di Siena ne è un esempio, come testimoniano gli appunti di Questura dove la presenza militare germanica, al momento dell’arresto, non è citata. Anzi viene sottolineata la responsabilità diretta degli arresti da parte dei fascisti.
Di questi arresti su Siena c’è la testimonianza diretta di Alba Valech, fermata il 6 novembre e in seguito rilasciata per essere, in un secondo momento, deportata pure lei ad Auschwitz da dove, fortunatamente, riuscirà a tornare. Nel suo libro “A.24029”, la Valech certifica la presenza dei fascisti e di una ss italiana al momento dell’arresto della sua famiglia nella villa ‘il Branchino’ ai Cappuccini.
Ed è ancora Alba Valech a raccontarci l’arrivo a Firenze dove, i tedeschi fanno salire gli ebrei senesi su alcuni vagoni carri bestiame che li avrebbero condotti a Bologna. Non c’è bisogno di immaginazione per pensare a quei momenti: è la penna della Valech che ci descrive il clima teso, tra paura e rassegnazione, che caratterizza quel trasferimento in treno, dove non mancano pianti e singhiozzi.
A Bologna, le ss tedesche procedono agli interrogatori dei senesi. Alba Valech e il marito vengono rilasciati perché considerati misti. Per tutti gli altri arrestati a Siena, si riaprono i portelloni del treno n. 3, allestito dal capitano delle SS Dannecker il 9 novembre ’43, carico di famiglie catturate in Toscana e in Emilia. Da adesso in poi non ci sono più testimonianze dirette, perché di quei 15 ebrei fermati a Siena nessuno è sopravvissuto. Il convoglio percorre il tragitto che tanti altri treni avevano percorso nei mesi precedenti da tutta Europa. La destinazione è la Polonia. Ma chi viaggia dentro ai carri bestiame, tra pianti, fame, freddo e disperazione, non sa che quello è il suo ultimo viaggio prima della morte. Il viaggio dura 5 giorni. Il 14 novembre ’43, il treno arriva a destinazione: Auschwitz-Birkenau. Le persone vengono fatte scendere e messe in fila. Per i senesi non ci sarà scampo. Dopo la selezione, saranno subito indirizzati verso la morte. Percorrono, forse intuendo il loro destino, il tragitto tra i binari e le camere a gas (di cui oggi rimangono solo delle macerie). Come era accaduto negli anni e nei mesi precedenti al loro arrivo, in tante altre drammatiche occasioni, i bagagli dei deportati vengono sequestrati e i loro oggetti di vita quotidiana – dai giocattoli agli occhiali, dai gioielli alle foto – si mescolano a tutti gli altri beni razziati a tanti innocenti. I 15 ebrei catturati a Siena, dopo essersi spogliati, entrano nella camera a gas e poco dopo, per effetto del famigerato ‘Ziclon b’, escono cadaveri. I loro corpi vengono bruciati nei forni crematori di Auschwitz e le loro ceneri disperse nel vento e nelle campagne polacche. Questa è la storia di bambini, adulti e anziani vissuti nella città del Palio.
Adele Ajò anni 64
Gino Sadun anni 71
Ubaldo Belgrado anni 52
Ernesta Brandes anni 85
rabbino Giacomo Augusto Hasdà anni 74
Ermelinda Segre anni 68
Achille Millul anni 40
Gina Sadun anni 47
Marcella Nissim anni 20
Graziella Nissim anni 14
Livia Forti anni 55
Davide Valech anni 64
Michele Valech anni 68
Morosina Valech anni 21
Ferruccio Valech anni 13
Nelle settimane successive arriveranno ad Auschwitz altri senesi, che si erano nascosti a Firenze: si tratta della famiglia Sadun: Vittorio Emanuele e la moglie Matilde con i figli Amiel e Lya, anche per loro – come per i nonni Gino e Adele di cui abbiamo già parlato – non ci sarà scampo.
Moriranno nel lager nazista anche i coniugi Ajò: Angelo e Fanny, per mesi domiciliati ad Asciano e poi deportati nel maggio ’44 dopo l’internamento nel campo di Bagno a Ripoli. Alba Valech, invece, sarà arrestata una seconda volta essendosi esposta nel tentativo di raccogliere informazioni sulla sorte dei familiari. Dopo un periodo di detenzione a Fossoli nell’agosto 44 arriverà ad Auschwitz. Nel suo libro racconta la quotidianità nel lager: le selezioni prima della gassazione, l’epidemia di febbre e dissenteria che la colpisce, la fame, il buio della camerata che la opprime durante la notte. A pagina 82, la Valech scrive: “Guardai il numero tatuato sul mio braccio: A 24029.Non mi sentivo più un essere umano”. Con l’avvicinarsi dell’armata rossa Alba Valech viene trasferita in Germania. È proprio al campo di Dachau, dopo 5 giorni di marcia della morte, che troverà la libertà il primo maggio ‘45 grazie all’arrivo degli americani.
Nel documentario parlo poi di cosa accadde nella città di Siena dopo la deportazione. Una brutta pagina: persone che speculano sulle disgrazie altrui. Anche a Siena, ancor prima della requisizione e poi confisca dei beni degli ebrei decisa dalla Rsi, c’è chi prova ad ottenere qualche vantaggio. Sono decine le lettere – soprattutto di sfollati e militari – con cui si chiede l’assegnazione dell’alloggio di qualche ebreo deportato o fuggito. C’è chi addirittura sottolinea come sia stato ‘giusto’ arrestare gli ebrei e portarli in un campo di concentramento. Anche i negozi degli israeliti scappati o arrestati vengono requisiti, in attesa della confisca. Infatti, gli ebrei vengono spogliati di qualsiasi bene, come dimostrano le lettere delle banche che comunicano le somme depositate nelle filiali. Fa impressione pensare come dietro a ciascun nome in questi elenchi ci sia una vita e un dramma. Nel documentario non manca la testimonianza della signora Mirella Sadun che, scampata alla deportazione, ci racconta cosa significasse essere ebreo in quel periodo. Consiglio quindi a tutti la visione del documentario perché non si dimentichi mai.
Juri Guerranti (autore del documentario “Novembre 1943: accadde anche a Siena”)