Inaugurazione mostra fotografica “Istanbul Ramazan”

Sarà inaugurata domani sera (venerdì 7 giugno) al negozio “Mohsen – artigianato persiano” (via Pantaneto, 28-130), con un aperitivo-vernissage alle ore 18:00 alla presenza degli autori, la mostra fotografica “Istanbul Ramazan” di Francesco Ianniello e Mino Fanelli. L’esposizione sarà visibile fino a venerdì 28 giugno.

Ci sono diversi modi per entrare in contatto con una città, con una realtà così differente da quella abituale. Francesco Ianniello e Mino Fanelli, fotografi per passione e amici di una vita, per descrivere Istanbul hanno scelto un periodo di totale sospensione della quotidianità, quello del Ramadan (Ramazan per i turchi), in cui un forte senso di religiosità prende il sopravvento su una quotidianità dominata dal consumismo e dal senso di operosità. Per il turco, e più in generale per il buon musulmano, Ramadan significa astensione, dall’alba fino al tramonto, dal cibo, dall’acqua, dal fumo, dal sesso. Non bere e non mangiare in una città caotica come Istanbul, in un mese caldo come quello di agosto, porta i cittadini ad uno stato di piacevole sonnolenza, di beata sospensione dal tram tram quotidiano. La gente si sposta dai caotici bazar e dalle frenetiche trattative tipiche di un popolo storicamente composto da commercianti, per abbandonarsi alla meditazione e alla preghiera in moschee che, mai come in questo periodo, diventano il fulcro della vita comunitaria e il centro del modello identitario della città. I due fotografi, armati di discrezione e di un approccio tipicamente etnografico, svelano la città sottovoce, consapevoli che alla base e all’origine di un buon reportage fotografico c’è innanzitutto un viaggio ed un modo ben preciso di viaggiare. Per questo non dimorano nei quartieri più affollati e turistici, come Sulthanamet o Beyoglu, optando invece per un rione popolare come Fatih, pieno zeppo di immigrati iraniani, kurdi, siriani, afgani. I vestiti alla moda e i gioielli di una raffinatezza quasi ottomana delle donne che riempiono le strade centrali della Istanbul più moderna, campione e modello di laicità per il resto del mondo musulmano, lasciano spazio ai chador che cingono meravigliosamente, come incorniciandolo, il viso di giovani musulmane, accanto ad altre donne ricoperte, ben più vistosamente, dal niqab o dal burqa. Anche gli uomini diventano più sospettosi e diffidenti, e se non fosse per l’odore persuasivo del kebab in continua macerazione, per le spezie che arricchiscono di colori sgargianti le bancarelle o per il canto del muezzin che a intervalli regolari interrompe il rumore di fondo della metropoli, sembrerebbe davvero di essere in un’altra città, in un’altra Istanbul. Ed è questa la realtà, il luogo dove il Ramadan viene vissuto nella sua integrità o integralismo, a seconda dei punti di vista, dove i precetti e le regole del Corano vengono prima ripetuti come un mantra all’interno delle moschee per poi essere applicati anche nel più banale e consueto dei gesti. Ed è qui che le moschee prendono il posto delle strade e delle piazze come centro, anche spaziale, della vita sociale: gli uomini vi trascorrono ore intere per pregare o anche solo per riposare, mentre al tramonto i giardini attigui vengono invasi da decine e decine di famiglie che si godono il meritato ristoro dopo una giornata di digiuno e privazione. Ed allora ecco che anche il tempo, nel tempo sospeso del Ramadan, assume un significato nuovo, scandendo gli orari e le tappe della giornata in una maniera talmente diversa e spiazzante da apparire davvero una sospensione della normalità, dell’abitudinarietà. E così, in una metropoli caotica come ogni visitatore descriverebbe Istanbul nel resto dell’anno, il giorno diventa il tempo della meditazione, della tranquillità, della quiete, e la notte il tempo della festa, dei banchetti, dei bambini che tirano fino a tardi giocando a pallone o affollando le sale giochi. L’intento di Francesco Ianniello e Mino Fanelli, allora, sembra essere proprio quello: descrivere e raccontare un tempo diverso, una quotidianità differente che si svela in maniera talmente potente e sentita da apparire naturale, il sapore e il gusto di un ritmo primordiale, la riscoperta di una religiosità che l’uomo sembra aver smarrito per sempre nelle pieghe della modernità.