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La Storia ai maiali

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La Storia ai maiali. E come l’avrebbero raccontata, nel Medioevo e nella prima età moderna, la Storia quelli che la scrittura la maneggiavano appena, ma ugualmente si piccavano a strafalciare su un foglio di carta le narrazioni di quel che gli accadeva intorno, le loro impressioni, le loro paure? Quelli che non erano notai, né acculturati uomini di pensiero, o ecclesiastici, o ben istruiti borghesi. No, proprio loro: gli abusivi della scrittura. Artigiani di basso livello, soldati, vinai, muratori, preti di villaggio che perfino il latino della Messa lo sapevano così così e che erano appena un pochino più alfabetizzati della massa dei loro fedeli che, per parte loro, con la penna avevano pochissima o punta dimestichezza.
Con le scritture dei “marginali”, dei “subalterni” mi ci ero imbattuto nella mia giovinezza, all’inizio degli anni Ottanta, quando questo tema (oggi ampiamente passato di moda) era sotto gli occhi degli storici più sensibili e innovativi. Avevo trovato due libriccini di conti di un mezzadro senese del ‘400 (Benedetto di Meo del Massarizia) che abitava a Casciano. Solo che lui non sapeva scrivere: faceva registrare le cose che lo riguardavano agli altri. Ne nacque un libro (il mio vero e proprio primogenito) “La Zappa e la Retorica” che, stampato nel 1984 da un piccolissimo libraio editore di Firenze, finì tradotto negli Stati Uniti (“The Renaissance in the fields”). Poi, la riflessione si allargò a quanti, come lui, avevano lasciato libri di conti e di registrazioni familiari.
Ma qualcuno di questi bracconieri della scrittura raccontava proprio la Storia: i fatti che vedeva, che sentiva. Meritava un’attenzione particolare. Era la Storia vista “dal basso”
Ormai già anziano e avviato al fuori-ruolo, concordai con un mio allievo un argomento per il suo concorso in un dottorato di ricerca: perché non studia – gli proposi – Bindino da Travale? Era un ex maialaio, poi inurbato a Siena: aveva fatto in tempo a conoscere Santa Caterina; aveva avuto un ictus e non poteva scrivere ma dettava. Una cronaca dei tempi suoi. Precisa e fededegna in maniera strabiliante. Lei – gli prospettai – fa la riedizione del testo che è stato edito nel lontano 1901; va negli archivi di Siena, Firenze, Napoli e controlla la reale veridicità delle narrazioni. Poi cerchiamo un tutor linguista perché il linguaggio di Bindino è anch’esso un formidabile cantiere di studio.
A quel tempo, per il dottorato di ricerca (ora non so se è più così) il candidato presentava il progetto e quelli giudicati seri venivano discussi convocando l’interessato in una prova orale.
Il mio allievo non fu nemmeno ammesso all’orale. Non ci avevano preso sul serio.
Lui, il mio allievo, ha poi fatto scelte di vita diverse e con i dottorati non ci s’è più confuso, ma a me m’era rimasto l’amaro in bocca.
Così, appena ce n’è stata l’occasione, ho proposto all’editore Laterza questo libro: una panoramica di sbrindellati storici che sapevano appena leggere e scrivere, ma la Storia, la loro Storia e in essa le loro storie, la volevano raccontare.
Bindino, ex maialaio di Travale, li ha riassunti, nel titolo (“L’Erodoto che guardava i maiali”) tutti quanti. Ma, alla fine del mio lavoro di sistemazione delle loro narrazioni, è emerso (temevo che sarebbe successo ed è successo) che, come loro, e non solo in Italia, ce ne sono stati, verosimilmente parecchi, ma parecchi!, altri.
Martedì 4, alle 17.30, in Accademia degli Intronati ne parleremo. Non casualmente, con Pietro Clemente, antropologo e storico delle tradizioni popolari che, con le classi subalterne ci lavora da una vita.
Chissà quanto – da un’altra dimensione – ci stanno godendo Bindino e tutti quell’altri come lui!

Duccio Balestracci