Paolo Di Paolo, romano, è il giovane letterato (ha solo 28 anni) che ha presentato il suo ultimo lavoro Dove eravate tutti (ed. I Narratori/Feltrinelli), aprendo, ieri pomeriggio al Santa Maria della Scala, il nuovo ciclo di Lunedìlibri.
Finalista nel 2003 al Premio Italo Calvino, poliedrico negli interessi, e accattivante nello stile, dove è facile riconoscere il suo amore per il giornalismo. Considera i libri, ha dichiarato in una passata intervista, <<come depositi di realtà (…), come piccole verità dell’esistenza>>, e così, in effetti, emerge dal suo Dove eravate tutti.
Tra le pagine la storia di un giovane uomo che si intreccia con quella del paese Italia di oggi. Storia contemporanea e vita familiare. Ricordi e aspirazioni. E, dal titolo, una domanda senza interrogativo; forse per tenerezza e un pizzico di poesia nel racconto di un ventennio dove agli adulti era, ed è, richiesto di non lasciare i giovani nella solitudine. Di cercare e costruire risposte, per un futuro capace di cogliere ciò che rende nostalgico il passato.
Come ha introdotto l’assessore alla cultura Lucia Cresti, Di Paolo è considerato dai critici un grande talento nel panorama letterario e non si fatica a rendercene conto. Basta leggere la sua biografia, già densa per i contributi intellettuali, di rilievo, che ha saputo dare alla letteratura, al giornalismo, alla TV e al teatro.
Dove eravate tutti ha già affascinato i suoi coetanei. Un giro sui Blog lo testimonia chiaramente. Del resto non poteva essere altrimenti. I capitoli scorrono in velocità. Un montaggio da “ordinata confusione” e, soprattutto, le parole non si riducono ad “un pulviscolo di atomi”, la paura che aveva Italo Calvino nel descrivere la deriva di una lingua, quando questa perde il potere di rappresentare la fisicità del mondo. Di Paolo ne ha grande padronanza. Ha affascinato il pubblico presente a questo primo incontro d’autore. Nella sua preparazione culturale vanno a braccetto classici e contemporanei. Di Paolo interloquisce con entrambi. Alla pari.
<<Una scrittura chiara e lucida –è stato evidenziato – per una archeologia della memoria dove nessun protagonista del libro viene tralasciato, e dove la “lettura” introspettiva risulta reale>>.
La storia inizia con la ricostruzione di un fatto: il padre del protagonista, un insegnante fresco di pensione, sfiora, con l’auto, le ginocchia di un suo ex alunno che, per il suo comportamento, detestava. Il danno non è grave, ma è carico di emotività. Il figlio per questo incidente non riconoscerà più la sua autorevolezza. L’ordine familiare si incrina e con quello anche il fattore tempo. Il tempo, rincorso dalla cronaca dei giornali, ma già vecchio nel momento della lettura. Il tempo, che, nel suo passato diventa consapevolezza. Il tempo, che non si può rifiutare, perché fa parte di ognuno di noi. <<Recuperarlo – come ha detto l’autore – significa acquisire un deposito di senso, e, nel prenderne coscienza, ci permette di diventare più forti>>.
Il libro di Di Paolo, come la vita di tutti noi, non cambierà certo il mondo, ma <<forma il nostro sguardo>>. E’ un’educazione ai sentimenti. Crea punti di contatto e di riconoscibilità. Non ci fa sentire soli. E questo non è poco in un’epoca di omologazione e appiattimento.