Sebastiano Lo Monaco porta il testo di Pietro Grasso, Per non morire di mafia al teatro Mascagni di Chiusi, alle 21.15 di martedì 31 gennaio. È lo stesso teatro che Lo Monaco usa ormai abitualmente per preparare gli spettacoli, nel contesto della tranquilla cittadina del Senese. Lo Monaco proprio a Chiusi ha provato questo stesso spettacolo, molto apprezzato dai giovani, che sono sempre più sensibili alle tematiche sociali. Giovane è anche il regista, Alessio Pizzech. La versione scenica è di Nicola Fano, l’adattamento drammaturgico di Margherita Rubino. Le scene sono di Giacomo Tringali, i costumi di Cristina Da Rold, le musiche di Dario Arcidiacono, le luci di Gigi Ascione. La trama ruota tutta intorno a precisi interrogativi: quando comincia la nuova mafia? Come ha cambiato la vita della Sicilia e dell’Italia? Che cosa ci resta ancora da fare e da sperare con sconfiggerla? Sono solo alcuni degli interrogativi che il procuratore nazionale antimafia si pone nel suo libro “Per non morire di mafia”. Significativa una frase, scritta dallo stesso Pietro Grasso: «Finché la mafia esiste bisogna parlarne, discuterne, reagire. Il silenzio è l’ossigeno grazie al quale i sistemi criminali si riorganizzano e la pericolosissima simbiosi di mafia, economia e potere si rafforza. I silenzi di oggi siamo destinati a pagarli duramente domani, con una mafia sempre più forte, con cittadini sempre meno liberi». Questa versione teatrale del libro di Grasso è un ritratto, una discesa nel cuore vibrante del lucido pensiero di un uomo che sta dedicando la sua vita alla lotta contro il crimine per il trionfo della legalità. La piéce si dipana tra il momento didattico, quello comico e quello tragico nel senso antico della parola. Un dialogo lucido in cui i segni tracciati sulla lavagna diventano il concretizzarsi di un percorso di pensiero che scava nella memoria che fa della storia il proprio strumento di orientamento. Un pensiero assolutamente urgente e necessario che viaggia sul delicato binario della contraddizione. Un aspetto, quest’ultimo, che trova la sua sintesi nel senso del dovere, forte e al quale rispondere con una profonda e sana morale individuale. L’istante si allarga ad un gioco di sottile ironia che colora talora la narrazione. Il protagonista e narratore si pone al centro di una rivoluzione copernicana che ribalta la visione più praticata della mafia e del malessere sociale che avvolge il nostro paese. Come un nuovo Galileo, ci offre un telescopio per scrutare l’universo che ci circonda: ci permette di sapere. Un monologo che riconduce il teatro alla sua funzione civile ed evocativa. Un teatro capace di disegnare gli uomini, di delineare esperienze di vita che possano divenire modelli. Un teatro che senza intellettualismi vuole dare un contributo al recupero di un senso della civiltà. Tutto affidato all’arte attorale di Sebastiano Lo Monaco il quale, dopo aver condiviso con Pizzech l’esperienza del Non si sa come di Pirandello, si confronta con una dimensione testuale nuova e mette la sua arte, di grande erede della tradizione italiana, al servizio di un evento teatrale che muova verso la contemporaneità.