ABBIAMO bisogno di virtù, abbiamo bisogno di tornare a rispettare il concetto di ‘res publica’. E’ con questo concetto che l’amministrazione comunale di Radicondoli, per volontà del sindaco Emiliano Bravi, hanno scelto di celebrare in maniera diversa la festa della Repubblica.
Ed è per questo che è stato scelto qualcosa che rappresenta alla perfezione l’idea: “Dal Buongoverno di Ambrogio Lorenzetti al nostro territorio”. Un incontro al Teatro dei Risorti con Massimo Lippi, docente dell’Accademia di Belle Arti di Roma.
“Un modo per portare il concetto vero di res publica, in un momento così particolare per la nostra Repubblica – ha detto il sindaco Bravi, a margine dell’evento – si parte da lontano per portare questo concetto in una piccola comunità, mettendo avanti il bene comune e devo ammettere che qualcosa, in tal senso, noi abbiamo fatto. E dobbiamo mantenerlo, non possiamo allontanarci dall’idea iniziale”.
Un territorio felice, quello di Radicondoli, soprattutto rispetto al momento attuale vissuto dal capoluogo, Siena. Incalzato dalla domanda, il sindaco ammette – pur con le dovute distanze – che “tutte le comunità hanno alti e bassi. A Siena, ora, la situazione è accentuata. Ritengo sia sempre meglio fare un passo indietro per il bene della comunità e, se questa poi avesse bisogno, entrare invece in campo. Probabilmente a Siena si sono perse queste misure. A volte in buona fede ma spesso, no. Per il comune di Radicondoli posso fare riferimento alla geotermia, una ricchezza che però ha avuto bisogno di una gestione seria e oculata per evitare di diventare un problema per la comunità e per diventare invece una enorme risorsa. Siena si è beata di se stessa e ha pagato questo comportamento: non lavorare seriamente per produrre risultati concreti e validi ma rimanere ad aspettare e anzi, attingere senza criterio fino a toccare il fondo”.
Dalle parole ai fatti, il passo è breve.
L’analisi approfondita dell’allegoria del Buon Governo è lo strumento attraverso il quale Massimo Lippi ha sostenuto che ‘riaffermando oggi i nostri valori, si riaffermano le nostre vite e i nostri destini per portarli verso le nuove generazioni”. Una breve premessa anche su Simone Martini e su Dante Alighieri, contemporanei di Lorenzetti e un richiamo anche alle lodi si San Bernardino verso l’allegoria, parlando di bene comune e di crescità della città in armonia, di contratti e usura – sulle sue parole nacque il Monte dei Paschi, per sostenere il popolo. Fino, poi, all’evocazione di Aristotele e Platone un’evocazione ad Aristotele e Platone e alla reale idea di democrazia e di politica.
Il resto è un susseguirsi di colori, immagini, dettagli, espressioni. E’ la descrizione che diventa poesia negli angoli più nascosti dell’opera di Ambrogio Lorenzetti, suggestioni forti che, pur conoscendo da sempre l’affresco, non si erano mai notate: l’uccellino in gabbia, la donna che annaffia con parsimonia perché l’acqua non c’era a Siena e per questo si voleva arrivare a Talamone. Ma anche gli abiti, ricamati e decorati con precisione quasi maniacale per evidenziarne la bellezza, a significare la cura, la grandezza, la bellezza della città e della sua gente. Gli studenti e le fanciulle nella loro danza, gli uomini che arrivano e chiedono informazioni, l’università, le donne afacciate al verone e anche la rondine nel suo nido, gli operai a lavoro per abbellire e piastrellare i palazzi in modo che la luce si riflettesse in maniera particolare sulla città (particolare che si nota ancora oggi) regalando unicità al profilo di un comune che pagava la crescita dell’uomo. E rendeva belli anche i registri delle tasse, le tavole della Biccherna, per intendersi.
I grandi fanno cose semplici, come si può vedere nel tratto di Lorenzetti, che all’epoca era all’avanguardia. La vita di una città ben governata che esprimeva nei volti e nell’armonia dei gesti tutto il suo essere, nei contrasti di luce e prime prospettive, la simbologia sacra e profana si alterna tra luce e ombre. Con l’orientamento verso la bella stagione, la primavera e l’estate, l’oriente dove nasce il sole. Una Gerusalemme celeste, una sposa nel suo abito più bello pronta ad accogliere l’uomo, fertile e bella.
Su tutto domina la Divina Sapienza, la Giustizia, pronta a tagliare la testa ai disonesti e a valorizzare gli onesti. E attraverso gli angeli si arriva alla Concordia, poi le virtù teologali (Fede, Speranza, Carità) proteggono il Comune e ai lati le quattro virtù cardinali (Giustizia, Temperanza, Prudenza e Fortezza), insieme anche alla Pace e alla Magnanimità dominano l’opera.
E’ anche fuori dalle mura, nella campagna che si leggono gli effetti di un Buon Governo, anch’essi spiegati nel dettaglio da Lippi, che ha saputo raccontare un’epoca e una città attraverso anche e soprattutto gli sguardi, i movimenti, i gesti, le espressioni delle persone raffigurate mentre lavorano con grande senso del dovere.
Di lì fino alla parte sinistra dell’opera: il Cattivo Governo che rappresenta poi già un’autocritica alla città ghibellina e che si estende nella violenza, nella vana gloria, nella crudeltà, nel furore, nella frode, in contrapposizione alle virtù precedenti.
Sangue, ingiustizie, violenze contro i deboli e i bambini contesi da due soldati, cadaveri a terra, città che si fa grigia e priva di decoro, si invertono diabolicamente i simboli come il bianco e il nero della Balzana in verticale (“come le maglie della Robur, che infatti sono sbagliate” ha detto Lippi) e Siena è in rovina. Un solo uomo lavora in città: l’armaiolo.
Nella visione di un uomo che nel 1338 seppe guardare oltre, Massimo Lippi ha saputo leggere in modo inedito, come un monito, l’allegoria proposta da Ambrogio Lorenzetti. “Oggi tutti quei vizi sembrano quasi virtù ma ci portano alla rovina. Riflettiamo su quanto abbiamo ereditato. Meglio padroni qui che servi di altri”.
Di una lezione così rimane un grande spunto di riflessione. E lo sguardo aperto sugli effetti del buon governo della natura, nel tramonto a Radicondoli.
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