“L’Italia è fatta; ora facciamo gli Italiani” è una frase storica che, ormai lo sappiamo, non fu mai pronunciata. E se qualcuno disse qualcosa del genere non fu, comunque, di certo Massimo d’Azeglio al quale è stata attribuita. Ma che sia stata detta o no, che l’abbia detta l’uno o l’altro è cosa che poco conta. Quel che conta è che il problema che la pseudo frase storica evocava era un problema reale per gli Italiani che, a cavallo fra le due metà dell’Ottocento, cercavano di trasformare una serie di regni, province e repubbliche in uno Stato unitario.
Ciascuna delle regioni che andava a comporre l’Italia aveva una sua plurisecolare storia; una sua consolidata memoria; una “identità”. Come fare per elaborare una memoria comune che potesse delineare una “identità” comune? In quale serbatoio della storia italiana andare a pescare le componenti di questa difficile alchimia? Non nella storia romana e latina, che aveva, sì, visto la centralità dell’Italia (o almeno di una parte di essa) ma era stata condivisa con terre e regioni del tutto diverse da quelle italiane. Non nella storia moderna, vista ancora come “secoli grigi” caratterizzati dalla mortificante soggezione degli Italiani a potentati stranieri. Ma per i giovani Italiani dell’Ottocento c’era un’epoca storica che presentava caratteristiche coerenti dalle Alpi alla Sicilia: il Medioevo. Era stato nel Medioevo, no?, che le città comunali avevano combattuto per la loro “libertà” (che non era libertà, ma serie di autonomie ed esenzioni, che è cosa molto diversa). Era stato nel Medioevo, no?, che i Lombardi avevano cacciato un imperatore tedesco e i Siciliani un odioso prevaricatore sovrano francese. Era stato nel Medioevo, no?, che un grande letterato, Dante, aveva “inventato” la lingua italiana. E le stesse città italiane erano rimaste, no?, nel loro pittoresco, arruffato, a volte misero, aspetto medievale. Allora il Medioevo divenne, quasi a furor di immaginario collettivo, l’epoca di riferimento per costruire, estraendone valori e contenuti, la fisionomia dell’identità della nuova Italia.
E dunque il Risorgimento “inventò” il Medioevo e il Medioevo, così inventato, legittimò, a sua volta, il Risorgimento. Anch’esso teso a cacciare i tiranni, a liberare l’Italia dagli stranieri, a dare alla Patria una lingua comune. E’ l’analisi che segue nel suo libro Duccio Balestracci (“Medioevo e Risorgimento. L’invenzione dell’identità italiana nell’Ottocento”), stampato pochi mesi fa (e già in ristampa) dalla casa editrice bolognese Il Mulino, intorno al quale l’autore discuterà nel pomeriggio di oggi, lunedì 16, proprio a Bologna, alla Libreria Coop Zanichelli (Piazza Galvani 1/H).
Invenzione dell’identità, sostiene l’autore: in parte perché ogni identità è sempre frutto di invenzione, in parte perché questa invenzione fu funzionale a costruire il comune collante della Nazione. Si divulgò, così, una storia del secoli di mezzo fatta di eroi della libertà; di città comunali “democratiche” (ad onta del fatto che tutto fossero tranne che democratiche); di architetture “medievali” da recuperare e restaurare e, all’occorrenza, inventare di sana pianta perché comunque quelli e solo quelli erano gli stilemi consoni alla memoria visiva degli Italiani (se ne vedano le vistose tracce in “casa nostra”: a Siena o a San Gimignano). Si dipinsero quadri di argomento medievistico; si misero in scena opere teatrali e musicali che magnificavano eroi e martiri dell’Italia medievale per evocare eroi e martiri di quei giorni e di quella Storia che non si svolgeva nelle piazze e fra i palazzi del Duecento, ma sulle barricate di Milano del 1848 o per le strade di Palermo nel 1860 (e infatti la censura ci andò giù, spesso, con pugno di ferro e forbici affilate). Si analizzarono perfino i sistemi economici e produttivi del Due e Trecento per ravvisarvi modelli da poter applicare all’Italia del secondo Ottocento e addirittura del primo Novecento.
A parlare di se e come e quanto l’invenzione funzionò, oggi a Bologna, insieme all’autore saranno Maria Giuseppina Muzzarelli, medievista e vicepresidente della Regione Emilia e Romagna, e Ilaria Porciani, contemporaneista, che ha studiato a fondo la cultura dell’Ottocento. Si potrà capire, insomma, se questa fu una tendenza solo italiana o più in generale riscontrabile nell’intera Europa, dietro pulsioni in parte simili a quelle stesse italiane. E si potrà capire dove origina il vero e proprio culto per il Medioevo che, ancor oggi, contagia l’impaginazione di una quantità inverosimilmente ampia di persone. (Segue l’invito rivolto a tutti coloro che vorranno essere presenti)
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